Ch. l’Evangile è una delle principali tenute di Pomerol e la gemella sulla riva destra di Ch. Lafite Rothschild, parte del prestigioso gruppo Domaines Barons de Rothschild.

Château l'Evangile

Sfoglia le ultime uscite e le annate passate e scopri di più su Ch. l'Evangile, la tenuta di Pomerol di proprietà di First Growth Ch. Lafite Rothschild

Ch. l’Evangile, tenuta di Pomerol di proprietà di Lafite

Informazioni su Château l'Evangile

Ch. l'Evangile 

A Lafite Rothschild, Antoine Granger ha detto che mentre annate come il 1986 (“ricco ma buono”), il 1990 e il 1996 stanno bevendo bene, il 2000 è “bellissimo” e il 2005 “brillante”. Potrebbe essere giovane, ma – se lo si decanta 12 ore prima – anche il più modesto 2022 Duhart-Milon si sta mostrando bene, ha osservato. Joséphine Duffau-Lagarrosse ha inoltre indicato il 2000 (un’annata “favolosa”) a Beauséjour, mentre trova che alcuni 2004 siano superbi. Ha anche recentemente assaggiato il 2005 Latour e ha detto che era “magnifique”. 
 Per Pierre-Olivier Clouet di Cheval Blanc, il 2004 è un’annata che ama. Il 1998 si beve molto bene, ha notato, ma il 2009 e il 2012 sono brillanti – non si sono mai chiusi, qualcosa che è stato confermato anche altrove. Ha appena iniziato ad affrontare il 2007, un vino che, dice, è stato “un adolescente” per molto tempo ma che ora sta iniziando a rivelare il suo potenziale. Il 2012 è anche, per lui, una nuova versione del 2011. 
 Sébastien Menut di Palmer è stato un altro a indicare il 2007 – dicendo quanto bene si stia bevendo, e una bottiglia recente di 2014 Trotanoy è stata per lui una bottiglia davvero eccezionale. 
 Per Juliette Couderc, i 2009 e 2012 di Evangile sono ancora vincenti – anche se purtroppo non ne rimane molto in giro; le piace anche il 2008, ma ritiene che il 2004 e il 2005 non siano ancora pronti, mentre annate come 2016, 2018, 2019 hanno bisogno di più tempo prima di essere affrontate. Infatti, a Vieux Château Certan, Alexandre Thienpont ha indicato il 2009 (un’annata che ritiene stia appena iniziando ad aprirsi – confermata da una bottiglia che il nostro team ha apprezzato a Bordeaux durante i primeurs) e il 2012 si beve bene. 
 David Suire di Ch. Laroque è felice di stappare quasi qualsiasi annata tra il 1995 e il 2020, ci ha detto (qualcosa di più vecchio richiede un’occasione speciale, ha scherzato), ma ha evidenziato il 2014 come un vino che sta iniziando ad aprirsi, e – sebbene ancora giovane – il 2019 è un vino molto fine e brillante, ha solo bisogno di essere decantato. E non è l’unico a godersi i 2019: Ferréol du Fou di Troplong Mondot ha bevuto molto il 2019, decantandolo per un’ora o due, mentre è stato anche particolarmente entusiasta dei 2017 – vini che ritiene si stiano bevendo bene in tutta Bordeaux. 
 A La Conseillante, Marielle Cazaux ha confermato questo – il 2019 è puro piacere, per lei, una “bomba di frutta setosa e deliziosa” in questa fase giovanile, e anche il 2017 è altrettanto gratificante. Guardando un po’ più indietro, sta ancora aspettando che il 2015 emerga, ma ama il 2012 – che combina complessità terziaria con potenza. 
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Al momento tutti gli occhi sono puntati sulle nascenti annate 2024, ma tra un primeur e l'altro ci siamo presi un momento per parlare con i migliori produttori di Bordeaux delle annate da bere ora. Ecco cosa stanno tirando fuori gli esperti.

As the 2024 vintage is released en primeur, we asked Bordeaux’s top produces which vintages are best to drink now: here’s what they said 

Bordeaux: the best vintages and wines to drink now 

Le annate di Bordeaux da bere adesso

L'annata 2024 a Bordeaux ha portato piogge record, ma l'annata è molto più di questo. Mentre vengono lanciati i primi vini, Sophie Thorpe racconta un anno complicato e i vini che ha prodotto.

Explore the 2024 vintage in Bordeaux and the wines it produced – looking at the growing season and style of the wines as they’re released en primeur

Bordeaux 2024 wines en primeur – vintage overview

Bordeaux 2024: panoramica dell'annata

William Kelley + Yohan Castaing – Wine Advocate Ancora una volta, la copertura del Bordeaux en primeur di Wine Advocate è condivisa da William Kelley e Yohan Castaing, con entrambi che forniscono i punteggi, ma con Kelley che scrive il rapporto della pubblicazione. È significativo che il punteggio potenziale più alto assegnato a qualsiasi 2024 sia 94-96, con oltre la metà dei vini al di sotto di 90: nelle parole di Kelley, l’annata – che “ha messo alla prova i limiti dei viticoltori” – “ha prodotto pochi vini convincenti”. Sebbene ci siano alcuni “successi notevoli”, la coppia ritiene che questa sia “chiaramente la vendemmia più debole di Bordeaux dell’ultimo decennio”, con molti vini “diluiti, erbacei e aspri”. 
 L’annata non è omogenea, e Kelley lo attribuisce semplicemente ai livelli di maturità. Sostiene che quei produttori che “hanno osato aspettare” per vendemmiare sono stati ricompensati. È chiaro, tuttavia, che nessuna varietà o sotto-regione in particolare sia andata particolarmente meglio nel 2024, con l’annata giudicabile solo a livello di produttore. I migliori 2024 sono, per Kelley, “pesi medi intensamente saporiti con buona struttura ed energia, che mostrano acidità integrata e tannino maturo”. Sebbene i peggiori abbiano un’acidità che può essere “stridente”, con “tannini astringenti e un marcato carattere di pirazine”, alcuni – in gran parte da siti a maturazione precoce vendemmiati tardi – “possiedono una densità e un’ampiezza di centro bocca che trascendono l’annata”. La vendemmia è, tuttavia, “un ritorno al passato”, più vicina a quelle degli anni ’90 che a qualcosa di più recente. L’élevage dovrebbe aiutare a dare maggiore pienezza ad alcuni vini, ma Kelley è cauto riguardo alla fragilità dei vini – e prevede che “amplificherà solo il divario tra i migliori e il resto”. 
 I punti salienti di Kelley: Cheval Blanc, La Conseillante, Pontet-Canet, Les Carmes Haut-Brion 
 Esplora il rapporto completo di Kelley, le note e i punteggi su Wine Advocate (solo abbonati) Jane Anson – Inside Bordeaux Per Anson, il 2024 ha superato le sue aspettative: sebbene, riconosce, ci siano “molte bottiglie deludenti”, l’annata è migliore del 2013 e – nei casi migliori – del 2021. Ritiene che ci siano “più successi complessivi sulla Rive Droite che sulla Sinistra, semplicemente perché è molto difficile mascherare un Cabernet non maturo”, e in generale i secondi vini non sono consigliati quest’anno, con un notevole salto di qualità. Nei migliori rossi, l’acidità dona “succo, muscoli e salinità”, con il Médoc che offre Claret lineari, “floreali, fragranti, sfumati”. Evidenzia in particolare la qualità di Saint-Julien e osserva che ci sono “molti vini eccellenti” a Pauillac, mentre Saint-Estèphe è più variegata. 
 La Rive Droite ha prodotto il suo vino dell’annata – Eglise-Clinet – ma osserva come Pomerol sia variegata, con alcuni vini di successo che sono “favolosi, elevati, aromatici, di grande qualità” e altri meno riusciti, generalmente con i migliori provenienti dall’altopiano interno. A Saint-Émilion, osserva come l’austerità naturale del calcare abbia dovuto essere gestita – ma “ci sono molti vini gustosi, di successo seppur slanciati” nell’appellazione. 
 Sottolinea la qualità dei bianchi nell’annata, sia dolci che secchi, con “maggiore coerenza e molti vini eccellenti”. I bianchi secchi offrono grandi aromaticità, ma non hanno la densità dei migliori vini, da cui il suo tetto ai punteggi. Descrive i vini dolci come “meno lussureggianti dei 2022 e 2023”, ma con “molti vini equilibrati, deliziosi e pieni di piacere”. 
 I punti salienti di Anson: Eglise-Clinet, La Mission Haut-Brion Blanc, Coutet, Pavillon Blanc, Les Champs Libres, Margaux, Léoville Poyferré, Brane-Cantenac, Ausone, Laroque, Couvent des Jacobins, La Prade, Vieux Château Saint André, L’If, Pagodes de Cos Blanc, Rieussec, Suduiraut, Clos Albus, Les Hauts de Smith Blanc, Les Charmes-Godard 
 Esplora il rapporto completo di Anson, le note e i punteggi su Inside Bordeaux (solo abbonati) Antonio Galloni – Vinous Galloni è il primo dei due autori di Vinous a pubblicare il proprio rapporto sul Bordeaux 2024. Sebbene ammetta che i vini siano “ovunque in termini di qualità e stile”, ritiene anche che “i migliori vini abbiano molto da offrire”. Dopotutto, “il meteo non è più l’elemento critico nel determinare la qualità dei vini e quindi di un’annata”. 
 Sottolinea quanto sarà fondamentale l’élevage nello sviluppo dei vini, aspettandosi “un livello molto alto di variabilità nei vini finiti” – ritenendo, come indica il titolo del suo rapporto, che molti dei vini stiano su un “filo del rasoio”. Galloni descrive i 2024 come aromatici, tendenti al frutto rosso, con i migliori che “trasudano equilibrio” – sebbene alcuni possano essere “eccessivamente leggeri”, rendendo l’annata “frustrantemente irregolare”. Tuttavia, è “ben lontana dal totale disastro” suggerito. Per lui è un anno in cui la Rive Gauche e il Cabernet sono fioriti, evidenziando i vini di Saint-Estèphe e Pauillac, e trovando quelli di Pomerol e Pessac-Léognan i più variabili. 
 Sottolinea la qualità dei bianchi secchi nel 2024, che sono “tra i migliori” dell’annata e possono essere “davvero eccezionali”, offrendo al contempo un valore relativo. Quanto ai dolci, sono – per lui – molto buoni, ma non straordinari, non avendo il “fattore brivido degli anni davvero migliori”. 
 I punti salienti di Galloni: Beychevelle, Clos Puy Arnaud, Cos d’Estournel, Jean Faure, Larcis-Ducasse, Lascombes, La Conseillante, Rauzan-Ségla 
 Esplora il rapporto completo di Antonio Galloni, le note e i punteggi su Vinous (solo abbonati) Neal Martin – Vinous Sulla scia del rapporto di Galloni (sopra), Neal Martin copre la stagione di crescita definita dalla sua quantità “biblica” di pioggia. Ritiene che il 2024 sia “una buona annata con limitazioni”, osservando che i vini sono incoerenti e che la “stagione malefica… amplia il divario tra chi ha e chi non ha”. Sottolinea che a trionfare non è stato il miglior terroir, ma “chi aveva le tasche più profonde e chi ha preso le decisioni giuste nei momenti giusti” – e anche allora, è “una stagione di crescita impossibile da trascendere”. 
 Come altri, nota quanto diversa sarebbe stata l’annata solo un paio di decenni fa, osservando che è “inequivocabilmente di gran lunga superiore” a annate come 1984, 1992 o 2013. Sebbene non sia coerente, ammette che ci sono vini che “sfiorano il cielo”, e i migliori sono “belli” – offrendo aromi “delineati e focalizzati”, vini equilibrati in cui una “spina dorsale di acidità dona portamento”, con “ampia freschezza e sapidità”. Sono, scrive, “vini ideali da ristorante che offriranno un piacere di beva facile mentre aspettate che i 2019 o i 2022 maturino”. 
 Martin evidenzia la qualità dei bianchi secchi – con condizioni fresche che producono “Sauvignon Blanc/Sémillon avvincenti e tesi che spesso superano le loro controparti rosse”. Per quanto riguarda Sauternes, riferisce che sono molto buoni, ma non classicamente opulenti, piuttosto “pieni di freschezza e purezza”. 
 I punti salienti di Neal Martin: Vieux Château Certan, Lafleur, Eglise-Clinet, Lafite Rothschild, Margaux, Montrose, La Mission Haut-Brion Blanc, Domaine de Chevalier Blanc, Malartic-Lagravière Blanc, Le Blanc de Lafite, Les Champs Libres, Doisy-Daëne, Coutet, Guiraud, Suduiraut 
 Esplora il rapporto completo di Neal Martin, le note e i punteggi su Vinous (solo abbonati) James Suckling Per James Suckling, degustare il 2024 è stata un’esperienza nostalgica – che gli ha ricordato le “versioni moderne di anni come il 1985 o il 1995”. Sebbene lo consideri tra le annate più eterogenee che abbia assaggiato, descrive i migliori 2024 come dotati di “tannini fini e un carattere croccante e brillante”, “lineari e freschi” con “acidità vivida”, osservando che saranno approcciabili presto. I migliori, ritiene, provengono da siti a maturazione precoce con le grandi squadre necessarie per affrontare l’annata. Ritiene che i bianchi secchi, nel frattempo, siano da molto buoni a eccellenti – con Haut-Brion Blanc e Pavillon Blanc tra i suoi vini con i punteggi più alti. 
 I punti salienti di Suckling: Haut-Brion Blanc, Evangile, Lafleur, Latour, Pavillon Blanc, Angélus, Ausone, Cos d’Estournel, Haut-Brion, Eglise-Clinet, La Mission Haut-Brion, Léoville Las Cases, Les Carmes Haut-Brion, Margaux, Mouton Rothschild, Pétrus, Smith-Haut-Lafitte Blanc, Vieux Château Certan 
 Esplora il rapporto completo di James Suckling, le note e i punteggi sul suo sito (solo abbonati) Lisa Perrotti-Brown MW – The Wine Independent Il titolo per Lisa Perrotti-Brown MW è che i migliori rossi del 2024 sono “di corpo più leggero, dalla trama morbida, rinfrescanti e profumati”, mentre ci sono “molti spettacolari vini bianchi secchi e piccole quantità di eccellenti vini da Sauternes”. Osserva come i vini abbiano generalmente tannini maturi, ma che la maturità del gusto sia stata più impegnativa – e ha portato a “molti rossi buoni, deliziosi, bevibili, se non sbalorditivi”, sebbene “molti non abbiano gli strati di sapore o l’intensità di un vero grande vino”. 
 Una cosa emerge chiaramente per lei: “I livelli di qualità sono ovunque.” Come noi, ritiene che la Rive Droite sia più coerente e osserva che “molti vini eleganti, brillanti, rinfrescanti, dalla trama morbida e profumati” provengono da Saint-Émilion e Pomerol. Sulla Rive Gauche, trova che la qualità diminuisca allontanandosi dalle terrazze ghiaiose e dai terroir più fini, sebbene molte Classed Growths abbiano prodotto vini “degni del loro status” anche se in uno stile più leggero rispetto agli anni recenti. 
 I bianchi secchi sono, per lei, “il lato positivo” dell’annata – notandone la coerenza e la qualità. Trova che molti abbiano “un senso di armonia senza sforzo”, con aromaticità e acidità preservate dalle condizioni più fresche. Evidenzia numerosi bianchi secchi da tenere d’occhio – elencati sotto. La qualità a Sauternes e Barsac è “eccellente”, scrive, ritenendo che l’ossatura acida inietti “vivacità” nei vini, portando a un maggiore equilibrio rispetto alle annate più calde. I migliori hanno “grande intensità di sapore, molta complessità instillata dalla botrite e ossature scattanti” – e sono vini che vale davvero la pena cercare. 
 I punti salienti di Lisa Perrotti-Brown MW: Figeac, Haut-Brion Blanc, Smith Haut Lafitte Blanc, La Mission Haut-Brion Blanc, Pavillon Blanc, Eglise-Clinet, Montrose, Trotte Vieille, Pape Clément Blanc, Domaine de Chevalier Blanc, Valandraud Blanc, D’Aiguilhe Blanc, Larrivet Haut-Brion Blanc, Suduiraut Pur Sémillon, Les Champs Libres, Cos d’Estournel Blanc, Lespault-Martillac Blanc 
Esplora il rapporto completo di Lisa Perrotti-Brown MW su The Wine Independent (solo abbonati) Georgie Hindle – Decanter La copertura di Decanter viene rilasciata gradualmente e finora include un rapporto sulla stagione di crescita, oltre a una prima occhiata agli stili prodotti dall’annata. Georgie Hindle afferma che è più vicina nello stile al 2021, guardando alle annate recenti, tuttavia evidenzia l’estate più secca e calda che la differenzia. Sottolinea che l’annata non è uniforme e che i vini sono generalmente plasmati da una “freschezza tesa e minerale” piuttosto che da profondità di frutto o opulenza. Dice che i migliori “offrono lampi di precisione aromatica, eleganza e chiarezza rinfrescante con struttura e lunghezza” – “raggiungono un equilibrio tra frutto, acidità e tannini”. Molti sono deboli o esili e – come noi e altri abbiamo sottolineato – non si può generalizzare quest’anno – e non dovrebbe essere un’annata da scartare, esorta. 
 Non ritiene che i bianchi secchi se la siano cavata meglio dei rossi, con risultati similmente misti – ma alcuni vini riusciti che sono aromatici e accattivanti. Per quanto riguarda i vini dolci della regione, offrono “una facilità di beva”, ma non tutti hanno “la densità e la consistenza delle annate più forti”. 
 Esplora la copertura di Georgie Hindle su Decanter (solo abbonati) Colin Hay – The Drinks Business Questo è il primo anno in cui includiamo The Drinks Business. Una pubblicazione di settore, ha ampliato la sua copertura di Bordeaux e relativamente di recente ha iniziato a dare punteggi ai vini, il tutto affrontato da Colin Hay. Nonostante la stagione di crescita impegnativa, sostiene che “coloro che hanno avuto sia le risorse – umane e finanziarie – e soprattutto l’acume per rispondere alle sue prove e tribolazioni hanno trionfato”. Sebbene nella fascia più bassa dell’albero della qualità trovi i vini deludenti e l’annata lontana dall’essere uniforme, scrive che “in cima alla piramide” ci sono “vini che trascendono le sfide dell’annata” – “pienamente maturi, eleganti, raffinati, altamente aromatici, con tannini morbidi, delicati e finemente grigliati e una succulenza, chiarezza e brillantezza davvero rare”. Li trova “notevoli” – anche senza il contesto dell’anno. Sebbene non raggiungano le vette del 2019, 2020 o 2022, ritiene che i vini possano essere favorevolmente paragonati ad altre annate recenti – anzi, ritiene che i migliori stiano sopra i vini del 2001, 2002, 2003, 2004, 2006, 2007, 2008, 2011, 2012, 2013, 2014, 2017 e 2018. 
 Scrive che sebbene i vini siano “probabilmente altamente accessibili in gioventù”, “hanno comunque un potenziale di invecchiamento piuttosto significativo”. È un altro a ritenere che l’annata sia leggermente più forte sulla Rive Droite, e a entusiasmarsi per i bianchi (“unici e spettacolari”, “un indubbio punto culminante dell’annata” che mette allo stesso livello del 2017 e 2021) e per i vini dolci (sebbene ammetta che siano meno coerenti). Sebbene vi siano eccezioni, Pauillac è “la meno lusingata dall’annata”, e può risultare austera. Ha riscontrato che le tenute di Saint-Estèphe sembrano aver abbracciato l’annata, trovando diversi punti salienti – tra cui Montrose, “un vino di sbalorditiva profondità e originalità, e al contempo di una bellezza eterea e aerea e di profonda complessità aromatica”. A Saint-Julien, trova “una rassicurante dolcezza del frutto e una cremosità nocciolata”, affrontando meglio l’annata, come ha fatto anche Margaux, offrendo molta “grazia e tipicità”. Trova i rossi di Pessac-Léognan e Graves particolarmente eterogenei, sebbene ritenga che le persone ricorderanno l’annata per i suoi bianchi. 
 Sulla Rive Droite, Hay riscontra che i migliori di Pomerol “non indicano nulla delle difficoltà della stagione di crescita”, con proporzioni elevate di Cabernet che forniscono “un’ulteriore spinta aromatica e floralità”. A Saint-Émilion, scopre anche molti vini che trascendono l’annata, “molto più omogenei” del previsto, soprattutto rispetto alla Rive Gauche, e molti di essi rientrano nel suo sistema di classificazione – suggerendo che sia “una garanzia di qualità impressionante per il consumatore”. 
 I punti salienti di Colin Hay: Mouton Rothschild, Montrose, Cos d’Estournel, Gruaud Larose, Palmer, Lafleur, Le Pin, Petrus, Eglise-Clinet, Trotanoy, Bélair-Monange, Rocheyron, Cheval Blanc, Figeac, Angélus, Beauséjour, Larcis-Ducasse, Pavie, Les Carmes Haut-Brion, La Mission Haut-Brion Blanc, Smith Haut Lafitte Blanc, L’Extravagant de Doisy-Daëne, Lafaurie-Peyraguey, Suduiraut
 Esplora il rapporto completo di Colin Hay, le note e i punteggi su The Drinks Business Jeb Dunnuck Sebbene il 2024 sia stata un’annata difficile, ha prodotto “vini affascinanti, di medio corpo, pronti, moderatamente concentrati”, scrive Dunnuck. Paragona la qualità al 2021 ma con maggiore “apertura e morbidezza”, ritenendo che non sia né un anno da Rive Gauche né da Rive Droite, ma uno che deve essere analizzato per tenuta. Ritiene tuttavia che Pessac sia “una gemma splendente dell’annata”. I vini puntano “all’approcciabilità più che alla densità”, e i vini a base Merlot della Rive Droite mostrano bene il loro terroir, mentre Pomerol ha uno stile più scuro. Sulla Rive Gauche, similmente, non sono vini esplosivi, ma – dice – “piaceranno certamente a chi rimpiange i tempi andati degli anni ’80 e ’90”, e “offriranno indiscutibilmente ampia bevibilità e longevità”. Suggerisce che possano seguire una traiettoria simile ai 2001, vini “che bevono magnificamente oggi” – e alcuni “hanno un equilibrio e un’armonia che potrebbero sorprendere”. 
 Per quanto riguarda i bianchi, sebbene ci siano “alcuni bianchi brillanti”, non è universale – un’annata buona piuttosto che grande. E questo è vero per l’annata in generale, a suo avviso: consiglia acquisti selettivi, ma ci sono buoni vini degni di attenzione. 
 I punti salienti di Jeb Dunnuck: Figeac, Haut-Brion, La Conseillante, Lafaurie Peyraguey Coeur de Terroir, Pavillon Blanc, Mouton Rothschild, Pape Clément, Suduiraut, Suduiraut Pur Semillon, Valandraud Blanc Esplora Bordeaux 2024

Mentre si aprono le porte alle uscite di Bordeaux 2024, i principali critici enologici del mondo esprimono le loro opinioni sull'annata. Qui troverete un riepilogo di ciò che Wine Advocate, Vinous e altri hanno detto finora sull'annata, e i vini che hanno valutato più positivamente.

Your essential crib-sheet to what the world’s leading wine critics are saying about Bordeaux 2024 en primeur–including Wine Advocate, Vinous,Decanter and more

Bordeaux 2024 en primeur – what the critics are saying 

Bordeaux 2024: cosa dicono i critici

L'annata 2023 di Bordeaux ha molto più da offrire di quanto i titoli dei giornali facciano credere. Dopo 10 giorni di degustazioni e colloqui con i principali produttori della regione e i nostri team commerciali, Sophie Thorpe racconta l'annata e alcuni degli straordinari vini prodotti.

Having spent time tasting with and talking to top producers, we dive into Bordeaux’s 2023 vintage – with everything you need to know about the wines

Bordeaux 2023 vintage overview

Bordeaux 2023: panoramica dell'annata

Bordeaux è incredibilmente variegata, con stili di vino estremamente diversi nelle sue denominazioni. Qui, vi sveleremo tutto ciò che c'è da sapere su ciascuna delle principali sottoregioni e sulle migliori tenute di ciascuna.

Explore Bordeaux, subregions, their wines and top estates – in Saint-Estephe, Pauillac, Saint-Julien, Margaux, Graves, Pessac-Leognan, Pomerol, Saint-Emilion 

Your guide to Bordeaux’s subregions, wines and top producers

La tua guida alle sottoregioni di Bordeaux

The Left Bank The gravel soils of the Left Bank are beautifully free-draining – something that has long been key to the fine wines despite the wet, maritime climate of the Médoc. In 2022, however, producers were desperate to retain what little water fell from the skies – and the berries harvested were tiny, with thick skins and containing surprisingly little juice.  The size of the grapes, combined with localised hail in Saint-Estèphe, resulted in generally low yields in 2022 – often lower than 2021, although it does vary by estate. Any addresses working organically and biodynamically last year had catastrophic yields, and this year therefore seemed generous (and joyous) for them, with its dry conditions meaning minimal disease pressure. What little fruit was harvested, however, was ripe and concentrated – producing rich and structured wines, with the best also having amazing freshness.   Saint-Estèphe This northern commune tends to thrive in hot vintages, with the heavier, clay-rich soils retaining more water and cooler temperatures, limiting the vines’ stress – and it was just so in 2022, a vintage in which it seems to be one of the more consistent appellations. Unfortunately the northern reaches of the region were struck by a corridor of hail on 20th June – it was very localised, but some estates lost significant volumes (with reports of up to 80%). At Ch. Beau-Site, the combined effects of this hail and April frost led to a loss of around half their crop, while Phélan-Ségur lost 30%.   Picking dates here varied – with Montrose (that has produced one of the stars of the year) starting on 2nd September, Calon Ségur on 6th and Cos d’Estournel on 7th – the earliest harvest for the latter since 1989. Even without any hail damage, Cos only managed to crop 33hl/ha, compared to a normal 40hl/ha. It’s also the first release of Cos Labory under Michel Reybier – reuniting the land that was originally owned by Louis Gaspard d’Estournel – and many more changes are set to come here. As they just acquired the estate, they were only responsible for the blending and élevage – but it’s already showing a touch of the classic Cos polish.   At Montrose, they felt there was a need to “civilise” the tannins, with gentle extraction. At Calon Ségur, Vincent Millet chose a longer, cooler fermentation at 24˚C ; for him, it’s the low yields that give the vintage such power, while the freshness remains a mystery. The wines that we tasted showed none of the rusticity that was once the trademark of Saint-Estèphe, with the best combining a depth of dark fruit and charming freshness.  Our highlights: Montrose – and especially La Dame de Montrose, Calon Ségur, Phélan-Ségur Pauillac “None,” Mathieu Bessonet – Technical Director at Pontet-Canet – said firmly when I asked if he could compare 2022 to another year. Pauillac escaped the hail and almost no one reported any significant damage from the frost, however yields were still low here. As Jean-Sébastien Philippe at Ch. Lafite-Rothschild highlighted, although the tonnage of grapes wasn’t too bad, it was the volume of liquid that they released which was notable – with the berries so small and the skin-to-juice ratio so high that yields were reduced by up to a third at most estates.  Some of Lafite’s younger vines started to struggle in the heat towards the end of August and were picked early, but the fruit wasn’t deemed good enough to be used. Neighbouring First Growth Mouton Rothschild picked in earnest from 1st September, finishing on 26th September – with almost no producers still picking by October’s arrival.  At Ch. Latour, the team recorded the lowest annual rainfall in their history – with just 615mm between October 2021 and September 2022. But there were significant storms in June, indeed the lightning in a thunderstorm on 2nd June destroyed Pontet-Canet’s office, with another following on 24th. Almost everyone we spoke to in Pauillac emphasised the higher percentage of press wine used. As vignerons tended to employ gentler extraction, the press wine was more delicate and more could be used to bring depth to the wines.   Technical Director at Ch. Pichon Baron Pierre Montégut compared the purity of Cabernet Sauvignon this year to 2019, with the richness reminding him of 2020. Bessonet feels that 2022 Pontet-Canet is more Pauillac than Pontet-Canet, but in general it seems that the extreme vintage amplified each estate’s character – as Charles Fournier at Mouton Rothschild highlighted. Taking the First Growths, Mouton is flamboyant, Lafite restrained and precise (with everything in this prestigious stable showing particularly well), Latour more stern and serious. Pauillac has produced some stunning wines at the top end this year, but there’s definitely a little more variation that needs to be considered.  This year’s Ch. Batailley – another classic expression of this stalwart estate – bears a commemorative label to the late Her Majesty Queen Elizabeth II, who served 1947 Ch. Batailley (a year with similar climatic conditions) at her Silver wedding anniversary in 1972.   Our highlights: Lafite-Rothschild, but also Carruades de Lafite-Rothschild, Pichon Comtesse, Batailley, Grand-Puy-Lacoste  Saint-Julien  “You’ve got to be really humble when a plant teaches you that much,” said Claire Ridley at Ch. Léoville Poyferré – referencing the vines’ resilience in the face of 2022’s extreme conditions. Despite the year’s challenges, Saint-Julien seems to have thrived, with some really impressive wines, with the Barton stable a particular standout. Damien Barton-Sartorius noted that some producers were afraid to wait for phenolic ripeness because of the rising sugar levels in the warm September conditions, but sufficiently ripe skins were key to success.   At Léoville Las Cases, the team feel the year’s climatic conditions hark back over 150 years, to 1870 – although we can’t personally vouch for the comparison, they’ve crafted a muscular, firm wine that will need serious time to reveal its full potential. (Indeed, five potential 100-point scores attest to the quality here.) Ducru-Beaucaillou highlighted the influence of oceanic mists in August, while Ridley pointed to the June storms for essential drought relief.  Harvest dates were similar to Pauillac, often starting in the second week of September and running to the end of the month. The acidity levels vary on paper from 3.6 to 3.85, yet the wines have good freshness and alcohols are generally on the more modest side for the year, with most sitting closer to 14, rather than 15. For Barton-Sartorius, the year sits happily alongside 2016 and 2019 – and possibly 1945. The appellation’s best wines are classically built, with both finesse and flesh, as well as the requisite structure for the cellar.  Our highlights: the entire Barton stable – including a stunning Mauvesin Barton (although sadly Langoa and Léoville sold out on release), Beychevelle, Léoville Las Cases, Lagrange  Margaux “They had to find a way to survive,” Aurélien Valance at Ch. Margaux said of the vines. For him 2022 was a year that gives him hope: “2022 was very extreme – but the wines are not. For the future, it’s very promising.” They have a plot of old-vine Petit Verdot that is always used in the Grand Vin, but the wine was already so dense that it didn’t need it. The fruit from this prime site has instead been used for Pavillon Rouge, contributing to a particularly serious, firm and swarthy rendition of this second wine. Valance explained how they used the vintage as an opportunity to trial two alternatives for managing the heat: removing leaves in early June to allow the grapes to adjust to the hot sun early in the season while they had thick skins, and using kaolin – a type of clay that can be used as a sort of “sunscreen”. While they had higher yields on both these trial plots, they have bottled them separately to see how these practices impact quality over time. Their ongoing work re-orienting their vines (from north-south to east-west) will also help long term, but will take half a century or more.   At Marquis d’Alesme and Labegorce, the early April frost reduced yields, especially for the Merlot – meaning they cropped just 22hl/ha. Harvest started in the first two weeks of September, finishing by the end of the month, the earliest on record for estates like Rauzan-Ségla. Yields generally seemed lower in Margaux – dipping to around half the normal volume at several estates, often less than in 2021. At Brane-Cantenac, Henri Lurton pointed to the deep roots of the 60-year-old Cabernet planted by his late father as key to their success this year, with a thicker canopy and cool nights all contributing to the wines’ surprising freshness. While most estates opted for a lighter touch with extraction, Palmer was a notable exception – choosing instead to lean into the year’s bold structure, something that has paid off (with another five potential 100-point scores here to prove it).  As Lurton said, “It wasn’t an easy vintage to make – but in the end it’s a great one.” Indeed, he feels it’s the best wine he’s ever made. That’s certainly the case at some estates, although the appellation was definitely more variable in quality. The best wines, however, fulfil Margaux’s sensual stereotype – combining perfume with the concentration of the year, and voluptuous tannins.  Our highlights: Rauzan-Ségla, Ségla, Marquis d’Alesme, Brane-Cantenac, Pavillon Rouge du Ch. Margaux  Pessac-Léognan  For Daniel Cathiard at Ch. Smith Haut Lafitte, the vintage was “more about dryness than warmth” – indeed, having recently started working in Napa Valley (with the family’s Cathiard Vineyard), he dared to say that the conditions were “a little Californian”.  Picking in this southern commune seems most uniform, with almost everyone starting in the first week of September. Guillaume Pouthier – who has created one of the wines of the vintage at Les Carmes Haut-Brion – managed to reduce the alcohol with his use of whole-bunch and native yeast, reducing it to a modest 13.5%. Although the tannin levels are very high (with an IPT of almost 100), the wine is amazingly accessible now – with a purity and delicacy that made it tempting to steal the sample for dinner. As he said, “What is very important to me is an empty bottle.”  The style of the wines here varies, from the ultra-elegance of Carmes to a bold, ripe offering from Haut-Bailly – but, from our tastings at least, there’s good uniformity in quality, with powerful wines that are set to age well.     Our highlights: La Mission Haut-Brion, Les Carmes Haut-Brion, Domaine de Chevalier  The dry whites Having read about the conditions of the year, you’d be forgiven thinking that the whites might be a write-off – but they’re far from it. It certainly required skill in the vineyard and winery to maintain freshness in the warm, dry year, with some that are on the more tropical side, but there are also some gorgeously taut, vibrant whites that are well worth paying attention to. The best of these are pithy, with impressive tension and an energy that reverberates through the wine. Yields at several addresses were particularly low for the whites, with frost having more of an impact on the Sauvignon Blanc, as well as the hot wind concentrating fruit further.   Although not being released en primeur, 2022 will be the first commercial vintage of a new white wine from Ch. Margaux, a junior sibling to Pavillon Blanc – one that we’re particularly excited to taste. Domaine de Chevalier Blanc is, as Adrien Bernard said, "very special this year” – and we wholeheartedly agree. While the reds often steal the limelight at Lafleur, we were particularly impressed by Champs Libres – another pure Sauvignon Blanc that sings this year.  As Olivier Bernard’s (Adrien’s father’s) 40th vintage, both the Grands Vins bear a special label, with a 1941 illustration by Xu Bei Hong of a galloping horse, one that captures the energy of the year at this address. At Ch. Haut-Brion, the team was particularly impressed by the quality of the Semillon – and it ended up representing a significantly higher portion (51.4%) of the blend, and the result is impressive.   Our highlights: Pavillon Blanc du Ch. Margaux, Domaine de Chevalier Blanc, Lune d’Or, Fieuzal Blanc, Clos Floridène, Les Champs Libres, Cos d’Estournel Blanc  The sweet whites of Sauternes and Barsac Because it was so dry, botrytis took time to develop in 2022, and it was only after the rain in early October that the noble rot took hold. A hot, dry wind over the following week resulted in rapid concentration, Pierre Montégut explained at Suduiraut, which is one reason for the purity of fruit in the wines. With this sudden concentration, the fruit needed to be picked more quickly than normal – indeed Montégut didn’t have enough pickers to bring it in as quickly as he’d have liked. The resulting wines are particularly rich and hedonistic, with notably high sugar levels at some addresses – Lafaurie-Peyraguey has a whopping 260g/l residual sugar (with 130-140g/l the number for a typical year). Yields are tiny in both Sauternes and Barsac – averaging 4hl/ha and 1.5hl/ha, respectively. Montégut explained that he would be using more new oak to help balance the richness of the fruit, which effortlessly absorbs the wood (the sample of Suduiraut we tasted was 100% new oak, but it will likely end up around 70% versus the normal 50%). He compares it to 1959, a vintage that had particularly high sugar levels for the era.   Our highlights: Suduiraut, Guiraud, Coutet The Right Bank There are some stunning wines from the Right Bank this year, with the wines generally more consistent (especially in Saint-Emilion), and the yields (again, mainly in Saint-Emilion) more generous versus the Left Bank.   Unusually, irrigation was permitted in both Saint-Emilion and Pomerol, however few producers have the infrastructure to water vines (beyond doing so manually) – and if they don’t have a water source themselves, it would also add significant costs. As such, few addresses that we visited took advantage of the option – and some argued that the permission to do so arrived too late in the season to be of real use. Although we only dive into the detail of Saint-Emilion and Pomerol on the Right Bank, it’s worth noting that the satellite wines from the Lafleur stable were particularly good this year, with both Les Perrières and Ch. Grand Village really impressing, and Montlandrie was a standout from the Durantous. Although we didn’t taste L’Hêtre, Jacques Thienpont (Le Pin) told us that it was “fabulous” this year – and may well be one to look out for given its pedigree.  Saint-Emilion Saint-Emilion’s pronounced limestone soils were a godsend in 2022 – bringing incredible freshness that balances the generosity of the year beautifully, producing some of the very best wines in the vintage. Of course, the proportion of limestone in soils isn’t universal, and it’s not quite as simple as saying only those on the plateau thrived, but it certainly helped. The general trend towards restraint undoubtedly helps as well, meaning that many producers have contained and tamed the opulence of 2022, rather than exaggerating it.  It was Joséphine Duffau-Lagarrosse’s second vintage at the helm of her family estate, and she’s been working particularly hard on pruning – something she feels is the most important part of any year, looking to balance each vine rather than leave a set number of buds, which also avoids the need for a green harvest. For the Ausone stable, Edouard Vauthier feels it is a Merlot vintage, with the berries “absolutely gorgeous”. The only vines of theirs that struggled in the heat were those at Ch. de Fonbel, where they have gravel soils rather than clay/limestone.  At Ch. Canon, the team even sacrificed certain plots on particularly thin, rocky soils totally – not vinifying the fruit as the vines didn’t have sufficient water reserves to handle the dry conditions. The team at Figeac highlighted how their rootstock (Gravesac) was particularly useful this year. The seeds were already brown in August – showing just how advanced the phenolic development was.   While most estates on the Left Bank and Pomerol sit at 3.6 to 3.9pH, here some wines were as low as 3.3 (bear in mind that whites will often be around 3.2), and most sit under 3.6. There’s a noticeable exception with Cheval Blanc, however the wine has an incredible sense of freshness despite its 3.86pH, and is clearly one of the highlights of the year. As with elsewhere, old vines and deep roots were also a support – and this was particularly true at Clos de Sarpe, Laroque and Angélus. The best wines here offer enticing perfume with aromatic finesse, backed up by concentrated yet crunchy fruit, seamless tannins and mouth-watering acidity, often with a saline finish. They are spellbinding.  Our highlights: Laroque, Carillon d’Angélus, Berliquet, Beauséjour Duffau Lagarrosse, Clos de Sarpe, Cheval Blanc, Bellefont-Belcier  Pomerol Those fortunate to have some of this appellation’s deepest and most prized clay soils produced some stunning wines, but it was definitely trickier on those with more sand and/or gravel. There were proclamations from many producers that this is Merlot’s “comeback” – but Edouard Moueix disagrees, this was just an easy year to farm the variety: “Merlot thrives here, but it is fragile, and you must be more precise – it’s not as tough as Cabernet Sauvignon or Cabernet Franc.”  Diana Berrouet Garcia at Le Pin noted how hot it was early in the season, recalling it was already 30˚C over the Easter weekend, but the rain that arrived after every heatwave allowed the vines to recover before they were challenged once more. Ch. Clinet was one of the few properties to use irrigation when permitted, something that helped avoid the vines shutting down, along with the cool nights and their mature vines (between 35 and 40 years old on average). By contrast, at Evangile – where the team is in the middle of a replanting program and the vines average just 15 years old – Juliette Couderc was worried about them even in June, however the naturally smaller leaves reduced transpiration and allowed them to survive until harvest at the end of August.   Alexandre Thienpont (Vieux Château Certan) chose to leave more bunches than normal on the vines – eight or nine, rather than the normal five or six – eventually harvesting tiny berries that weighed less than 1g. Noëmie Durantou Reilhac (of Ch. l’Eglise-Clinet) explained how important it was to manage the extraction carefully to maintain freshness, extracting early while the musts were cool and taking it off the skins after just two to five days after fermentation was finished (when some producers choose to leave the wine macerating for up to 40 days).   The warm winds in September concentrated the berries, and are the reason that yields are generally lower, often around 20-30% less than in 2021 for those that harvested later in the month. The start of harvest ranges from the very end of August through to 16th September, and almost everyone finished before the 23rd September. Merlot from the vintage is undoubtedly opulent and we found the best wines were often – but not always – those where its exuberant personality was tamed with Cabernet, bringing a firmer, more linear structure.   Our highlights: Belle-Brise, Vieux Château Certan, L’Eglise Clinet, Blason d’Evangile, Bourgneuf, Clinet, La Conseillante, L’If    Read more about Bordeaux 2022 

There are exceptions to almost every rule in 2022 – and, as ever, it’s essential to asses wines individually. Here, however, we break down the region by commune to offer an overview of how each subregion fared in this fascinating vintage

Bordeaux 2022: a breakdown of the vintage by region, with top picks from Saint-Estephe, Pauillac, Margaux, Saint-Julien, Saint-Emilion and Pomerol

Bordeaux 2022 – breaking the year down by commune

Bordeaux 2022: the vintage by commune

È difficile fare affermazioni generali su un'annata come il 2023 a Bordeaux. Dopo la nostra panoramica dell'annata, approfondiamo ulteriormente l'argomento, suddividendolo per comune per offrire una panoramica su come ogni sottoregione si è comportata in questa singolare annata.

Bordeaux 2023: a breakdown of the vintage by region, with top picks from Saint-Estephe, Pauillac, Margaux, Saint-Julien, Saint-Emilion and Pomerol 

Bordeaux 2023 – breaking the year down by commune

Bordeaux 2023: l'annata per comune

Juliette Couderc didn’t have the easiest start at Ch. l’Evangile. She arrived in September 2020, in the heart of the pandemic, and just in time for the 2021 growing season – a vintage that saw incredible mildew pressure and a return to the chaptalisation that was, pre-climate change, normal for the region.  But the 31-year-old isn’t one to shy away from a battle. The Sunday before I spoke to her, she’d broken a finger playing rugby – something about which she was particularly blasé (it was “very, very blue”, she told me). Indeed, she used to play fullback for Narbonne’s team in the Fédérale 1 league, and now represents the local Libourne squad. In a wine region that is dominated by the slick and suited, she’s a breath of fresh air.  Born in the Charente, Couderc studied winemaking in Bordeaux and Montpellier before travelling to opposite ends of the earth – Chile and then New Zealand – to learn her craft. But L’Evangile – one of Pomerol’s most respected names – is a far cry from the wineries she started in. Both Escudo Rojo (a Mouton Rothschild project) and Wairau River in Marlborough were big operations, giving her exposure to larger-scale winemaking. She returned to France and worked her way through Burgundy and the Rhône before settling in the Languedoc for several years, focusing on viticulture. It was here that she first met Olivier Trégoat, who was then Technical Director of Domaines Barons de Rothschild’s projects in Chile, China and the Languedoc. In 2017, he recruited her – then aged just 26 – to head up the vineyards for Long Dai, their winery in Shandong Province. She’d planned to only stay a year, but then she was made Technical Director, managing work in both the vineyards and winery. It was Covid’s arrival, along with China’s strict lockdowns, that saw her return home – and Olivier Trégoat, who had just taken the reins for L’Evangile and Rieussec gave the talented winemaker her next opportunity, as Chief Operating Officer at Ch. l’Evangile.  For the rest of the team – including a Cellar Master that had been there 20 years – she may not have been the obvious choice. Despite growing up just an hour away, the 29-year-old had never worked in Bordeaux, let alone one of the region’s top estates – one that is sibling to First Growth Ch. Lafite Rothschild.  “At the beginning, it was pretty stressful for me,” she confesses, “because I’m pretty young in comparison to the rest of the team.” But it didn’t take long for them to realise why she’d been chosen. She’s not the sort to sit behind a desk. She was instantly out in the vineyards and winery talking to the team, digging into the DNA of the estate – and gently starting to question why they did things this way and that.  Baron Eric de Rothschild bought shares in Ch. l’Evangile in 1990, taking full ownership in 1998. Significant investment and change followed, with a new winery completed in 2004, extensive replanting and an additional seven hectares bought to complement the original 15. Bearing in mind the Rothschild family has owned Lafite since 1868, L’Evangile is just a baby – but that hasn’t held them back. Robert Parker gave the 2009 vintage 100 points – and the estate has been a cult address ever since.  L'Evangile is big by Pomerol standards, with 22 hectares spread over various sites. Between four and five hectares sit on the appellation’s famous blue clay (shared by Pétrus), with the rest on sandy clay and gravel soils. It’s the Merlot from that blue clay that contributes the creaminess that is key to the property’s fingerprint – along with soft yet dense tannins. Couderc is looking to make sure that that fingerprint shines through in the wines, even with climate change.  Her appointment is part of an ongoing shift at Domaines Barons de Rothschild. Since Saskia de Rothschild took over in 2018, she’s been pushing for a new vision, putting Jean-Sébastien Philippe in place as her right-hand man, and a flurry of fresh faces throughout the company, with the hope to move from “aristocratic” to “up-to-date” – and certainly more approachable, breaking the fourth wall to talk to consumers. This is the new generation taking over at the highest level. The broader vision is enormous, with the cornerstone establishing an agricultural ecosystem. They are reintroducing corridors of vegetation, establishing ponds and natural waterways, and planting cover crops to improve biodiversity and soil health. They’re re-structuring the vineyards, breaking up plots into smaller parcels, reducing vineyard density, re-orienting vines and adjusting the trellising, working on massal selections and trial plantings of different varieties, as well as moving towards biodynamics – all with extensive trials and studies to ensure changes are for the long-term. Indeed L’Evangile has become a “laboratory” of sorts for the family, with many of these changes introduced at the smaller estate before they are implemented at Lafite. At L’Evangile, the aim has been to pull back – unmasking the terroir. Couderc is experimenting with ways to manage extremes – both drought conditions (as experienced in 2022) and mildew (as in 2021). One key from her point of view is managing the vineyard to retain freshness in the wines – reducing the canopy size and using cover crops, as well as farming both organically (certified since 2016) and biodynamically (certified since 2018).   When she first arrived, she plotted areas to harvest based on how the fruit tasted, planting flags to mark off areas, often stopping partway along a row. Although having done it “blind”, the final map matched up with the different soil types almost exactly. The differences between these parcels are particularly accentuated in hot years, with as much as a week between harvest dates for plots. And, as Couderc tells me, while once they might have waited a little, with warmer September days, finding exactly the right moment to pick has never been so important.   With each parcel harvested separately, it can be treated differently, Couderc explains – pushing the extraction of Merlot on the blue clay, for example, but being more careful for gravel-dominant sections which can bring overly “straight” tannins.  She’s also planting more Cabernet Franc, having seen the success of the variety on sandy plots. Naturally more resistant to mildew and bringing welcome freshness, she feels it will be key for the future – and aims to have it represent around 30% of the vineyards eventually (up from around 20% currently).   In the winery, élevage has been the focus – tweaking to find the right balance. She’s worked closely with Trégoat, Saskia de Rothschild and the cooper Taransaud to find the right oak profile, which has then been translated across three additional coopers (including the Rothschilds’ in-house operation) for barriques, as well as starting to use both foudres and amphorae. For Couderc, amphorae are tricky – with a risk of crude tannins, but the ability to emphasise tension and freshness which she likes, anticipating they will represent a small but important 8-15% of the final blend each vintage. Foudres were trialled on the second wine (Blason de l’Evangile) first, but will now also be used for the Grand Vin. With the natural generosity of Merlot, Couderc sees her job as “to keep the austerity, the freshness” of the wine – while also preserving the innate density of their terroir.  Tasting through a flight of vintages, it’s easy to see the transformation that is underway here. The 2015, for example, is one of the last “old-style” vintages, only enhanced by the generosity of the year. The wine is exotic, rich and ripe – a voluptuous, decadent wine that envelops you. By contrast, the 2019 and 2020 display a crunch and vibrancy, while not losing any of the property’s signature density. The 2022, meanwhile, manages to take the generosity of the year and contain it – with restrained precision and perfume, smooth but gravelly tannins and a seductively lighweight feel.  It's clear already that Couderc is set to be a star – and L’Evangile will only rise higher with her.   Browse all Ch. l’Evangile listings or read more about Bordeaux 

 One of the newest members of the team is Juliette Couderc – who took over as Chief Operating Officer at Ch. l’Evangile in 2020, aged just 29. Sophie Thorpe sat down with the vigneron to talk about Lafite’s Pomerol sibling and the evolution at this prestigious stable of estates

Sitting down with star vigneron Juliette Couderc, the Chief Operating Officer at Pomerol’s Ch. l’Evangile – owned by First Growth Ch. Lafite Rothschild

Talking to Juliette Couderc of Ch. l’Evangile

All change: evolution at Evangile

Evangile

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