Situata nel cuore della Côte d’Or, la collina di Corton domina il paesaggio, ma i suoi vini, soprattutto i bianchi, sono spesso sottovalutati. Abbiamo incontrato i principali produttori della zona per esplorarne il pedigree e il potenziale, tra vini potenti e di grande longevità.

Discover the pedigree and potential of the hill of Corton’s whites – the fine Chardonnay from Corton-Charlemagne, Charlemagne and Corton Blanc 

Exploring Corton-Charlemagne, Charlemagne and Corton Blanc 

Corton-Charlemagne: il Grand Cru del futuro?

"È stato un anno davvero terribile," dice Mark Gaskain. È settembre 2024 e siamo alla fine di quella che è stata una stagione di crescita difficile in gran parte dell’Europa – con piogge apparentemente senza fine. Fortunatamente, Gaskain sa che tali sfide fanno semplicemente parte del lavoro. È un agricoltore, nato e cresciuto, ora alla guida dell’azienda di famiglia e responsabile della produzione di 70 milioni di mele all’anno. Ma nell’ultimo decennio ha aggiunto un nuovo ramo all’attività – dopo aver venduto un’ampia porzione di terreno nientemeno che a Champagne Taittinger nel 2015. Quel terreno è ora la sede di Domaine Evremond – uno dei progetti di vino inglese più entusiasmanti fino ad oggi. 
 La storia è iniziata quasi un decennio fa. Patrick McGrath – fondatore e CEO di Hatch Mansfield, che rappresenta Champagne Taittinger nel Regno Unito – stava cercando di aggiungere un vino spumante inglese al portafoglio dell’azienda. Erano i primi anni 2010 e lui aveva intravisto un’opportunità in questa categoria nascente – ma Pierre-Emmanuel Taittinger suggerì che, invece di acquisire una tenuta esistente, McGrath avrebbe dovuto crearne una propria, lavorando con Taittinger. Taittinger aveva intrapreso un’iniziativa simile in California, creando Domaine Carneros con il loro agente statunitense, Kobrand, sotto la guida dello zio di Pierre-Emmanuel, Claude. Insieme, decisero di fare il grande passo. 
 Affidarono all’esperto di vini inglesi Stephen Skelton il compito di aiutarli a trovare il sito perfetto – che doveva avere terreni gessosi, pendii esposti a sud/sud-ovest (per la massima esposizione al sole) e un’altitudine inferiore ai 100 metri (con la temperatura che diminuisce di 1°C ogni 100m, qualsiasi cosa al di sopra sarebbe stata semplicemente troppo fredda nel clima marginale inglese). Si decise per il Kent – con facile accesso alla Champagne – ma ci vollero 18 mesi per trovare il sito giusto. Allo stesso tempo, i Gaskain stavano valutando la vendita di una parte dei loro terreni (un’avventura nella frutta morbida si era rivelata difficile e volevano tornare al loro core business delle mele). Il tempismo fu fortunato e i frutteti di Stone Stile Farm – intorno al villaggio di Chilham, a sud-ovest di Canterbury – erano perfetti. Come mi disse Alexandre Ponnavoy (Chef de Cave sia per Taittinger che per Evremond), se un sito può produrre buona frutta – è un buon indicatore del suo potenziale viticolo. Nel 2015, l’accordo fu firmato e il progetto lanciato con grande clamore all’Abbazia di Westminster. Domaine Evremond prende il nome da Charles de Saint-Evremond (1614-1703), un francese, saggista e primo ambasciatore dei vini di Champagne – che li portò alla corte di Carlo II – ed è sepolto a Poets’ Corner. Sebbene Didier Pierson – un viticoltore in Champagne – avesse già prodotto vino inglese sotto l’etichetta Meon Hill, Taittinger fu una delle prime grandi Maison di Champagne a investire in Inghilterra (Pommery aveva acquistato vigneti nell’Hampshire nel 2014). Non sorprende che la copertura mediatica fu estesa: i Champenois stavano arrivando per produrre vino spumante sul nostro territorio – e gli scettici francesi avrebbero dovuto ricredersi mentre il mondo iniziava a riconoscere la qualità dello spumante inglese. 
 Le prime viti di Evremond furono piantate nel 2017, con ulteriori aggiunte nel 2020 (il team si stabilì al Premier Inn locale per affrontare il lavoro in piena pandemia) e nel 2024. Il terreno qui presenta uno strato di argilla alluvionale sopra il sottosuolo gessoso che fa parte del bacino di Parigi, condiviso con gran parte del nord della Francia (inclusa la Champagne). Tuttavia, intorno a Canterbury, c’è più selce nel terreno – qualcosa che, secondo Ponnavoy, emerge chiaramente nel vino, conferendogli un carattere minerale e riduttivo. C’è anche una netta influenza marittima – che modera le temperature ma porta anche brezze oceaniche da Whitstable, che dista solo dieci chilometri. Per Ponnavoy, è la combinazione tra i terreni gessosi del sito, la morbidezza marittima e i venti marini – una “climatologia contrastante” – a definire i vini di Evremond. 
 Gaskain è profondamente coinvolto nel progetto – la sua conoscenza approfondita del territorio è una risorsa inestimabile, sapendo ad esempio dove si trovano le sacche di gelo potenziale o dove il terreno potrebbe essere troppo fertile per le viti. Lui e il suo team gestiscono quotidianamente il sito, guidati da Christelle Rinvelle (Direttrice dei vigneti Taittinger). Attualmente hanno 62 ettari di vigneti, suddivisi tra 45% Chardonnay, 45% Pinot Noir e 10% Meunier. Hanno piantato Chardonnay nelle aree con lo strato di terreno più sottile, consentendo alle radici di accedere quasi direttamente al substrato gessoso, mentre il Pinot Noir e il Meunier si trovano nei lotti più ricchi di argilla e ghiaia. Le viti sono ampiamente distanziate (5.000 viti per ettaro – metà della densità di impianto che Taittinger utilizza in Champagne) e allevate più in alto rispetto all’altra parte della Manica, permettendo una migliore circolazione dell’aria (che aiuta a gestire la pressione delle malattie) e una chioma più ampia (per favorire la maturazione). Sebbene non siano mai stati utilizzati erbicidi e ci sia un impegno concreto verso la sostenibilità, Gaskain è chiaro sui limiti della viticoltura nel Kent: “Il biologico è una follia in questo clima,” mi dice – come forse ha dimostrato il 2024. Sebbene il team disponga di irroratrici specifiche per la vite, Gaskain può anche utilizzare le attrezzature del suo frutteto – un vantaggio quando le condizioni sono difficili – e irrorare l’intero sito in un solo (lungo) giorno. 
 Hanno raccolto quantità minime di frutta nel 2018 e 2019, con la prima vendemmia di dimensioni commerciali proveniente dal 2020 (fortunatamente la vendemmia dell’uva si colloca comodamente tra quella delle Gala e delle Braeburn). I primi vini furono prodotti presso i vicini Simpsons e, dal 2020, si stabilirono in un vecchio fienile di cemento nel sito – con l’intera operazione alimentata da un generatore. Nel giugno 2022, iniziarono i lavori per una nuova cantina (“Eravamo fuori budget quattro settimane dopo l’inizio,” dice McGrath, con un sorriso stanco). La stessa azienda che lavorò al Tunnel della Manica scavò 83.000 tonnellate di gesso (circa 2.000 camion) per far posto all’edificio a tre piani che si estende per 20 metri sotto terra. Progettata dall’architetto di Reims Giovanni Pace, l’idea è che la cantina si integri nel paesaggio – piuttosto che imporsi su di esso. Ha la capacità di immagazzinare 1,5 milioni di bottiglie – tutto senza consumare ulteriore energia per il raffreddamento, grazie al naturale fresco sotterraneo. 
 I lavori sono stati completati in tempo per la vendemmia 2024 – un sollievo indubbiamente per il team. C’è qualcosa di affascinantemente britannico, leggermente improvvisato e da outsider in questa operazione – nonostante i capitali molto seri dietro di essa (finora si parla di 17 milioni di sterline investiti). “Tutti hanno dovuto darsi da fare,” dice McGrath. Potrà essere il CEO di Hatch e uno dei fondatori di Evremond, ma è anche il primo a indossare gli stivali di gomma per aiutare alla vendemmia – e ha trascorso più weekend tra i filari di chiunque altro. Vitalie Taittinger ha preso il posto del padre come Presidente di Taittinger, e la figlia di McGrath, India, gestisce il lato commerciale di Evremond – rendendo l’operazione davvero un’impresa di famiglia, anche se con un certo tocco di eleganza in stile Champenois. Con l’associazione a Taittinger, naturalmente, le aspettative sono altissime – qualcosa di cui McGrath è dolorosamente consapevole. Parlando con Ponnavoy – responsabile della vinificazione sia di Taittinger che di Evremond – c’è stato qualcosa di molto entusiasmante nel creare un progetto da zero, anche se non senza difficoltà. Ha insistito per conservare la piccola vendemmia del 2018 solo per la proprietà, permettendo loro di seguire i vini in vasca per diversi anni e conoscere meglio il sito. È stato un costo enorme e ha ritardato la prima uscita, ma qualcosa che ha ritenuto essenziale. 
 “Era davvero importante non fare la copia di un altro spumante, non produrre uno… ‘stile’,” dice. L’obiettivo, invece, era: “Identificare il terroir, identificare il suolo, identificare il clima e riprodurre tutto ciò nella bottiglia. Trovare l’identità di Evremond.” Inevitabilmente, c’è la tentazione di tracciare paragoni tra Taittinger ed Evremond, ma il team è chiaro sul fatto che si tratta di progetti totalmente separati, con DNA molto diversi. Lavorando con uva inglese, Ponnavoy ha ritenuto fondamentale gestire l’acidità potenzialmente pungente (e il vino subisce quindi una fermentazione malolattica completa), ma – per lui – la sfida più grande era evitare l’amaro che trova comune in alcuni vini inglesi. Gestire i composti fenolici per evitarlo era dunque essenziale, mentre si è concentrato anche sulla consistenza delle bollicine – lavorando per ottenere una mousse molto fine, qualcosa che ritiene distingua il vino dalla concorrenza. 
 Con il tempo, Evremond spera di produrre 400.000 bottiglie all’anno, anche se il primo rilascio ne conta solo 120.000. Ci sono piani per aggiungere una cuvée millesimata e una rosé una volta che le viti saranno mature e avranno imparato a conoscere il sito, ma per ora producono solo la Classic Cuvée non millesimata. Ora, a dieci anni dall’acquisto del terreno, l’Edition 1 della Classic Cuvée è pronta per il rilascio. Per un debutto, è un risultato straordinario – forse non sorprendente, data la caratura dell’operazione. Incredibilmente fine, tesa e stratificata, con note di conchiglia d’ostrica, iodio e selce, è un vino pieno della promessa di ciò che Evremond può realizzare. 
 La Classic Cuvée Edition 1 di Domaine Evremond sarà rilasciata giovedì 3 aprile: contatta il tuo Account Manager per registrare l’interesse o iscriviti qui per ricevere una notifica.

Dieci anni fa, Champagne Taittinger fece qualcosa di inaspettato: acquistò un terreno nel Kent. Alla vigilia dell'uscita del primo vino del progetto, Sophie Thorpe ha incontrato il team di Domaine Evremond per parlare delle sfide e dei successi della loro avventura inglese.

Champagne Taittinger bought land in Kent 10 years ago. As the first wine from the project is released, we talk to the team behind Domaine Evremond

Diving into Domaine Evremond – Taittinger’s new English wine

Alla scoperta di Evremond: il nuovo progetto enologico inglese di Taittinger

L’en primeur è il sistema di acquisto di vino giovane e non finito, essenzialmente come “futures”. I vini vengono venduti mentre sono ancora in affinamento in botte e spediti, una volta imbottigliati, agli appassionati di tutto il mondo. Bordeaux ha pionierizzato il sistema, e rimane importante nella regione, sebbene l’en primeur si sia ormai diffuso e vini da Borgogna, Rodano, Italia, USA, Australia e oltre siano ora venduti in questo modo. Ma come è iniziato? Sebbene i consumatori acquistino il vino en primeur solo dagli anni ’80, il vino è stato venduto “non finito” ai mercanti per secoli. Tradizionalmente il vino non veniva imbottigliato o venduto dagli châteaux; una volta messo in botte, veniva trasferito ai négociants che lo avrebbero affinato nei loro magazzini nel quartiere dei Chartrons a Bordeaux, e sarebbero stati responsabili della sua vendita e distribuzione – un’attività poco decorosa che non si addiceva ai nobili proprietari dei castelli. Il vino veniva poi imbottigliato a Bordeaux oppure spedito in botte verso mercati come il Regno Unito, per essere lì imbottigliato e venduto ai consumatori. Sebbene oggi Bordeaux possa sembrare lucida e raffinata, con i suoi grandi château, i prati curatissimi e le cantine immacolate, l’industria vinicola della regione non è sempre stata così prospera. A metà Ottocento arrivò la peronospora che devastò gran parte dei vigneti europei, seguita dall’arrivo della fillossera, che uccise le viti e costrinse i produttori a reimpiantare. Quando i viticoltori si ripresero dagli attacchi di Madre Natura, sopraggiunsero la Prima e la Seconda guerra mondiale, portando ulteriori difficoltà economiche. I produttori avevano bisogno di modi per finanziare la loro attività, mentre i mercanti erano sempre alla ricerca di un modo per assicurarsi scorte e il miglior prezzo possibile. Mentre i produttori faticavano, ricorsero alla vendita dell’uva quando era ancora sulla pianta, “sur souche”, concordando un prezzo basato sulla vendemmia precedente e scommettendo sulla qualità finale del raccolto. Le vendite sur souche continuarono fino agli anni ’60 – per poi diminuire quando i produttori rimasero scottati dai 1961, a bassa resa, eccellenti e tristemente sottovalutati. Quando i tempi erano particolarmente duri, gli château – anche gli indirizzi più leggendari – si impegnavano a vendere il loro raccolto fino a 10 anni a un prezzo fisso a un mercante, legandosi a un “abonnement”, garantendosi un livello di reddito base, ma rinunciando a potenziali profitti se o quando i prezzi fossero saliti. Fino a questo punto, le vendite anticipate di vino (o uva) erano avvenute solo ai négociants di Bordeaux, ma la crisi petrolifera del 1973 provocò un cambiamento. Il crollo successivo lasciò produttori, négociants e ogni livello del commercio del vino in disperato bisogno di fondi. Avendo faticato a vendere l’annata 1972, gli château non avevano i soldi per investire nella produzione delle difficili annate ’73 e ’74. La stagione di crescita del 1975 arrivò con condizioni più favorevoli e i vini mostrarono potenziale; campioni furono spediti a Londra perché gli acquirenti potessero assaggiare e vendere. L’en primeur decollò davvero, però, con l’annata 1982 di Bordeaux. Robert Parker aveva iniziato a scrivere la sua newsletter nel 1978, introducendo al mondo il suo sistema di valutazione del vino in 100 punti. Si pronunciò presto con un deciso endorsement dei 1982 e incoraggiando i consumatori a comprarli; quando altri erano meno convinti. Molti, specialmente negli Stati Uniti, colsero l’occasione per acquistare i vini en primeur – e furono puntualmente ricompensati, con l’annata ora considerata leggendaria. La vendita anticipata dei vini alleviò i problemi di flusso di cassa per produttori e négociants, mentre mercanti e consumatori beneficiarono della possibilità di assicurarsi scorte di vini a un prezzo favorevole. Con la crescita delle vendite en primeur, le proprietà divennero aziende molto più redditizie, in grado di reinvestire nei loro vigneti e nelle cantine. Allo stesso tempo, la proprietà delle tenute stava cambiando. Nel 1981, le tasse di successione raddoppiarono, rendendo più difficile per le famiglie mantenere gli château e le aziende – dalle assicurazioni ai beni di lusso e tutto il resto iniziarono ad acquistare proprietà. Sebbene alcune corporation si concentrassero sulla quantità piuttosto che sulla qualità, molte arrivarono con le risorse finanziarie necessarie per spingere la qualità in avanti. Gli anni ’90 videro molte tenute introdurre i secondi vini, consentendo di elevare ulteriormente la qualità del loro Grand Vin, e l’influenza di Parker continuò a crescere. Tutti questi elementi si combinarono per vedere Bordeaux e i suoi vini evolversi rapidamente – dando ancora più motivo per assicurarsi subito una nuova annata. Per i consumatori, l’en primeur offriva un modo per assicurarsi i vini più ricercati ai prezzi migliori. Nelle annate di vertice, i vini offrivano anche ritorni significativi – e ne seguì la speculazione. Il mercato del vino si espanse, con nuovo interesse da parte di acquirenti giapponesi e cinesi. Il mercato esplose quando Hong Kong abolì la tassa sul vino nel 2008. La frenesia aumentò e i prezzi salirono – con le annate più quotate 2009 e 2010 che raggiunsero nuovi, gonfiati massimi. L’en primeur non offriva più il ritorno sicuro di un tempo. La bolla scoppiò. Château, mercanti e collezionisti rimasero tutti scottati, e ora c’è una maggiore consapevolezza della potenziale inflazione del mercato. Questa coscienza e comprensione ha stabilizzato il mercato e reso l’en primeur nuovamente rilevante, fortunatamente senza la speculazione delle annate precedenti. Nel 2012, Ch. Latour annunciò l’abbandono del sistema en primeur – decidendo invece di offrire i vini solo quando pronti da bere, con il 2011 come ultima annata offerta come futures. Fu un colpo significativo per l’en primeur vedere un Premier Cru abbandonare il sistema, ma sebbene si temesse che questo passo potesse aprire le chiuse, nessun altro ha ancora seguito il Premier Cru. Oggi, l’en primeur rimane significativo per Bordeaux. In aprile di ogni anno, il commercio mondiale del vino converge su Bordeaux per assaggiare l’ultima annata (vendemmiata l’anno precedente). Organizzata dall’Union des Grands Crus de Bordeaux, la settimana dei “Primeurs” è una macchina pubblicitaria impressionante, che concentra l’attenzione sulla regione – e mentre i riflettori potrebbero essere puntati sulle proprietà di vertice, c’è un chiaro effetto alone su tutta la regione. C’è stata una tendenza per le tenute a trattenere un po’ più di scorte, alcune delle quali possono essere offerte ex-château in un secondo momento, ma la maggior parte dei Cru Classés vende ancora tra il 70 e il 90% dell’intera produzione en primeur. I benefici per Bordeaux e i suoi château sono evidenti, ma cosa c’è per chi vuole comprare il vino? Molti dei motivi per acquistare en primeur sono immutati. Non ci sono garanzie che si realizzi un ritorno finanziario con l’en primeur, ma inevitabilmente i vini diventano più rari col passare del tempo; quando i vini entrano nella loro finestra di beva, diventano più desiderabili (e spesso aumentano di valore) e, con il tempo, diventano più scarsi, man mano che le bottiglie vengono stappate e l’offerta finita di una specifica annata si riduce. In tal senso, l’en primeur può offrire un modo utile per assicurarsi scorte di vini, in particolare quelli di piccole proprietà molto ricercate che possono essere quasi impossibili da ottenere dopo l’uscita. Acquistare en primeur offre anche una provenienza impeccabile. Il vino si muoverà dalla tenuta al luogo in cui conservate il vostro vino, e poi una sola volta quando verrà prelevato per il consumo, garantendo condizioni ottimali di maturazione e mantenendo il massimo valore qualora decideste di vendere piuttosto che bere. Un ulteriore lusso dell’acquisto en primeur è la possibilità di acquistare qualsiasi formato; non essendo ancora imbottigliato, potete acquistare mezze bottiglie, magnum, jeroboam, imperiali o qualsiasi altra dimensione desideriate con facilità. Anche se i punteggi dei critici influenzano certamente ancora la vendita dei vini, nessuna singola voce ha il potere che Robert Parker aveva ai suoi tempi d’oro. Oggi, ci sono più critici che mai – con singoli autori che si staccano da pubblicazioni più grandi come il Wine Advocate per creare la propria piattaforma, ciascuno con i propri gusti, offrendo prospettive diverse sull’annata – dando, si può dire, ai consumatori più informazioni che mai. Non sorprende che altre regioni abbiano adottato il sistema, con la Borgogna in particolare che ha abbracciato l’en primeur. Le opportunità indubbiamente restano – come dimostra un’annata come il 2019, venduta nel pieno del 2020 e della pandemia di Covid-19. Di fronte a un mercato incerto, i produttori abbassarono i prezzi e i consumatori si precipitarono ad acquistare i vini di Bordeaux. L’annata si rivelò spettacolare, con gli acquirenti giustamente ricompensati per aver investito nei vini. Quando un’annata è buona e il prezzo è giusto, non c’è davvero nulla come il palpabile fermento e l’eccitazione che la stagione dei Primeurs porta nel mondo del vino. Scoprite di più sull’en primeur, compreso come funziona, o sfogliate tutti i vini attualmente disponibili en primeur

Ogni anno, le principali regioni vinicole pregiate offrono i loro vini en primeur, o come "wine futures", ma non è sempre stato così. Sophie Thorpe approfondisce le origini e la storia del sistema, e il suo significato per gli amanti del vino di oggi.

En primeur is the system of buying wine futures: we delve into its origins, history and what it means today for chateaux, negociants merchants and wine-lovers

What is en primeur? Explaining wine futures

Cos'è l'en primeur: le origini dei futures sul vino

After the stresses of 2020 – with severe drought, heat and widespread wildfires, the 2021 vintage provided much-needed relief for Napa’s wine producers. Not only was the growing season reassuringly uneventful, but the resulting wines are fantastic. Concentrated, pure with vibrant acidity, this is a vintage that sits alongside 2013, 2018 and 2019 – the best in recent years. “I’m very happy to move on from talking about 2020! It was stressful to go through and stressful to relive,” said Maya Dalla Valle, winemaker at the eponymous estate founded her parents. Most winemakers and vineyard managers held their breath as the 2021 season progressed, anxious about the potential return of hazardous wildfires that increasingly seem to be the new normal in Northern California, but the danger never materialised.   The most significant factor influencing the 2021 harvest was instead drought, which unfortunately entered a second year. Conditions were exceedingly dry – historically so, says Chris Phelps of Ad Vivum, who noted that it was one of the driest years he can remember. Napa’s Mediterranean climate dictates that nearly all precipitation falls during the months of October-March, and the rains generally begin in the weeks following the close of each harvest, but this didn’t happen in 2020. While early winter was quite cold, helping to push the vines into dormancy, but rain didn’t arrive until January, February and March 2021. With around seven inches measured in Oakville, this was significantly lower than normal and far less than the total amount needed to reinvigorate the roots and replenish the water table.  Access to water, either from precision irrigation, or the benefit of a location with good water supply, therefore, was critical to shoot growth and canopy development. Sleeping Lady Vineyard in southern Yountville – the fruit from which Ad Vivum is crafted – backs up against the Mayacamas Mountains that form the western edge of Napa Valley. Here, natural springs funnel moisture down to the vineyard. In other locations, such as the eastern hillsides of the valley, long sunlight hours and faster-draining soils presented a greater challenge. The solution at Dalla Valle was to begin irrigation much earlier than normal, and at a greater volume, in order to mimic the rainfall that didn’t happen naturally. Although 2021’s growing season was quite warm, it was cooler than 2020 and, importantly, there were very few heat waves – and those that did take place were mercifully short. The first of these spikes, where the daily temperature reached over 37˚ Celsius, occurred in mid-June, a point early enough in the growing season where its impact was negligible. The remainder of the summer was consistently warm, with little variation, up until late August and early September, when the valley saw two minor heat spikes. The diurnal swing that Napa is known for, with nights quickly cooling down after sunset, was also in full effect in 2021, helping to preserve the grapes’ natural acidity. Given the steady weather and lack of wildfire risk, winemakers had the luxury of time when deciding to pick. For most, harvest began in the first two weeks of September – slightly earlier than average, but not drastically so. The year’s dry conditions reduced yields, which was not surprising, though “sometimes harrowing” as Andy Erickson (of Favia, and star consultant winemaker) described. The resulting clusters were lighter than normal, comprised of small berries with thick skins. While Phelps reported that the yields at Ad Vivum were down by 15%, he emphasised the positives that have emerged from these small, compact clusters: “The colour is extraordinary, with higher than normal levels of anthocyanins due to the long, slow ripening.” Others reported an even more drastic reduction in yield – up to 30% in some locations – though variation depends on not just access to water, but also soil type and depth. Vine age can also help mitigate drought conditions. Lisa Togni of Philip Togni Vineyard, perched at nearly 2,000 feet at the top of Spring Mountain, said that her yields were more or less normal, something she credits to the 32-year average age of her vines, which, remarkably, have never been irrigated. She feels that her vines’ well-established roots are able to reach deeper and access more water than younger vines. The low yields also sparked some wineries to change course in the vineyard prior to harvest, in regard to both shoot thinning and dropping fruit. Opus One made the decision to halt their green harvest. This process – during which a certain number of clusters per vine are removed, lowers yield and increases the intensity of the remaining fruit while also eliminating any slightly under- or over-ripe clusters – was always standard for Opus One, as it is for many wineries in Napa. This decision to change course was an easy one to make in a year like 2021, winemaker Michael Silacci said, and he is thrilled with the results, describing “more of a range of ripeness, with more layers and texture, and more vineyard character” in the final wine.  In the winery, tannin management was crucial. With a reduced skin-to-juice ratio, it was important to handle the fruit gently. For Tony Biagi, winemaker at several Napa Valley wineries, including Hourglass, Amici, The Vineyardist and To Kalon Vineyard Co, the main puzzle was how to coax colour from the fruit, while avoiding over-extraction of the tannins. “We were meticulous in how we macerated; we shortened the window,” he explained. Biagi said that the firm tannins are reminiscent of 2013, though perhaps not quite as muscular, as the more stable weather of 2021 allowed “more time to buff the edges”. At Dalla Valle, the decision was made to leave the wines in barrel for an additional two months because they displayed so much power and concentration. Despite the smaller berries and low yields, the condition of the fruit was described as nearly perfect by everyone. Low disease pressure and the lack of heat spikes produced uniformly healthy, good-looking clusters. Silacci recalls perhaps the most worrying moment of the 2021 harvest at Opus One, when their optical sorter broke down just as the fruit began arriving at the winery. Fortunately, however, the quality of the fruit made a stressful moment less so: “If ever there was a vintage we didn’t need a sorter it was 2021!” Early impressions of the final wines are uniformly positive – glowing with praise, even – and not simply because the year was a welcome relief following the trials of 2020. As we found in our tastings, the wines offer concentration and intensity with real purity of fruit, all balanced by refreshing and somewhat surprising acidity – allowing them to age beautifully. Phelps noted that the 2021s remind him of 2016, 2018 and 2019, all vintages with “great concentration, tension and generosity”. For Biagi, the vintage instead portends a new direction for the region, while referencing other hallmark great vintages of the past. “For me, the 2021s are classically Napa Valley. They are not crazy ripe, and you get a sense of the new style Napa is moving towards, with both power and freshness,” he opined. But perhaps Togni summarises the year most simply: “2021 was the kind of vintage we hope for every year.” Napa 2021 in brief: The growing season was – especially after 2020 – refreshingly uneventful The wines offer both concentration and freshness Dry and warm, but not overly hot, conditions reduced yields, with up to 30% less fruit at some addresses – and a crop of small, thick-skinned berries Rich yet vibrant, the wines are set to age very well A vintage to rival 2013, 2018 and 2019 in quality Explore all Napa 2021 listings, all Napa listings or read more Editorial

Napa’s producers have already started releasing their 2021s – and more will be hitting the market in the coming months. The vintage is one that allowed producers to breathe – and produced some stunning wines, as Rachael Ryan – Senior Buyer at Vinfolio, our US arm – discovers

Diving into the 2021 vintage in the Napa Valley and its rich, fresh wines, with Dalla Valle, Opus One, Philip Togni, Andy Erickson and more

Napa 2021 vintage report

Napa 2021: rich, fresh and a relief

The benefit of hindsight tells us this story did not end happily ever after, but for the 750
million people tuning in to the wedding of Lady Diana Spencer and the Prince of Wales, the day was fit for a fairy-tale complete with gold-encrusted carriage, silk slippers and trumpet fanfares aplenty.   The Champagne of choice? Magnums of Dom Pérignon 1961–  Diana’s birth year and a legendary vintage. The 600 bottles were disgorged in March 1981, just four months before Diana took the long walk down the aisle at St Paul’s cathedral but the quality of this 50/50 Chardonnay/Pinot Noir blend had long been appreciated: it is the only Champagne to have been awarded six stars by the late Michael Broadbent in his vintage guide – the maximum was five – while sparkling wine expert Tom Stevenson called it “the best Dom Pérignon I have ever tasted”. It wasn’t just Champagne that made wine fit for royalty in 1961. The warm, dry summer produced wines that had the Bordelais salivating from the first crush. In his annual
vintage report, Bordeaux négociant Peter Sichel, said:  “We have no doubts at all about the quality of this vintage. The wines are dark in colour, firm and complete in composition
and classic in flavour…they are great wines ranking with the 1928’s, 1929’s and 1945’s.” Despite the evident quality, there wasn’t much of it to go around: an intense cold spell at
the end of May made a huge dent in yields and this caused massive headaches. Bordeaux was far from wealthy at this time and the sur souche system was still in operation, which meant producers sold part of their crop before a grape had been harvested. It helped with cashflow and kept the bank manager far from the château gates but the system backfired in 1961 when nature turned against the vines: there was hardly any fruit; some châteaux couldn’t fulfil contracts and had to reimburse their customers for failure to supply.  Under the stable ownership of American financier Clarence Dillon, however, there were no such concerns at Château Haut-Brion. Instead, 1961 will be remembered as the “ripe and concentrated” debut vintage for Jean-Bernard Delmas who took over from his father and made the revolutionary step of introducing stainless steel fermentation tanks.  His son Jean-Philippe was handed the winemaking reins in 2004 and explains that the introduction of tanks brought greater precision to Haut-Brion. He tasted the 1961 earlier this year and recalls: “It was powerful, complex, so rich in tannins, ample, fleshy and complete. A pinnacle in quality, slightly similar to our 1989, that can still age and flourish for several decades. 1961 and 1989 are really the best made by my father.” The year 1961 will also be remembered as a killer year for the northern Rhône. Paul Jaboulet Ainé’s Hermitage La Chapelle, a cuvee that takes its name from the pint-sized chapel on top of the Hermitage hill, was lauded by wine critic Robert Parker and played no small part in creating a semi-mythical status. “This is unquestionably one of the greatest wines made in the twentieth century,” he declared. “In the two dozen tastings where I have had the 1961 La Chapelle, I rated it 100 points twenty times,” which would give it a sum total of 2000 Parker points. Heading further south through the Mont Blanc tunnel, the conditions that produced a stunning Rhône season made this the vintage of the decade in Piedmont. It is even a
strong contender for vintage of the century. According to Angelo Gaja, the makers of Barolo and Barbaresco would have to wait until 1970 for a vintage in the same league and then, like buses, they had another the following year (although some would argue the quality of 1967 was in a similar league).  By 1961, the staunch traditional Barolo maker, Bartolo Mascarello, already had 40-odd vintages under his belt and it would prove to be one of the vintages of a lifetime. While fully mature, it continues to drink well, although it’s not one for long-term cellaring at nearly 60 years old.  The late Mascarello’s unwavering commitment to long maceration times and traditional aging in large format Slovenian oak (botti) in the face of a modernist Barolo movement continues under the guardianship of his daughter Maria-Teresa. Fashions have come and gone since Mascarello first made this wine but it’s clear that he knew how to capture the greatness of his sites And if it ain’t broke… Explore more Editorial

In conversation amongst collectors and critics around the world, 1961 is certainly a vintage that piques a lot of interest. It was a vintage that arguably produced some of the finest bottles of the century. In the latest installment in our Vintage Series, we explore the vintage of 1961.

According to collectors and critics around the world, 1961 is a vintage that produced some of the finest bottles of the century. We explore the golden year

Exploring the 1961 vintage globally 

A year in wine: 1961

For the aperitif For Domaine Long-Depaquit’s Matthieu Mangenot it is the energy and power of Champagne Brut Nature Les Marnes Blanches from Jeaunaux-Robin, that makes it his choice at Christmas. “I can't say for sure if it is the 100% Chardonnay selection or the very elegant vinification in Burgundy barrel that is this Champagne’s (hidden) tribute to our region but there is absolutely no ‘make up‘ with this Champagne. With no dosage it is a true expression of Chardonnay and terroir. To me, it is the best sparkling to get you ready for Christmas dinner!”  Klaus-Peter Keller (Weingut Keller) and his family love Champagne Bérèche & Fils or Krug, “but we will definitely enjoy some sparkling wines from Germany too!” he adds. Gianlorenzo di Neri from Montalcino’s Casanova di Neri is also choosing something local, with a 2002 Trentodoc – Giulio Ferrari Riserva del Fondatore, as well as a family favourite, Champagne Egly-Ouriet’s Blanc de Noirs. Saskia de Rothschild (Ch. Lafite-Rothschild) breaks the mould and prefers to drink ice-cold Sauternes as an aperitif rather than sparkling wine. She is still toying on whether to go young or old, deciding between a 2017, an 2007 or 1989 from Ch. Rieussec. The whites White Burgundy seems the overwhelmingly popular choice for the Christmas table. Francisco Baettig (Viña Errázuriz, Viñedo Chadwick and Baettig wines) opting for a bottle of Pulingy-Montrachet Les Combettes from Etienne Sauzet. “I love the elegance and balance of this appellation, and the purity of the wines from this producer.” Neri is saving his last bottle of 2005 Bourgogne Blanc by Coche-Dury alongside a 1991 Terlano Rarita, a Pinot Bianco blend released 25 years after it was made, proving the incredible ageing potential of top whites from Alto Adige. Mangenot has also opted for a rarity for the special day – a magnum of 2012 Nuits-Saint-Georges Blanc from Château-Gris (Albert Bichot). Chardonnay accounts for just 2% of the Nuits-Saint-Georges appellation. “The wine has a lot of richness and a beautiful tension due to the altitude of the vineyards,” says Mangenot: he is pairing it with cod fillet and citrus cream. Keller is bucking the trend and unsurprisingly opting for dry Rieslings, specifically from the 1990s, along with an eagerly awaited bottle of 1959 Mosel Piesporter Schubertslay. In 2008, Keller (although based in Rheinhessen) took over 0.7 hectares of this incredibly steep slope in the Mosel and he is using his Christmas dinner to do some research on this Mosel site with some serious bottle age. The reds Keller is not holding back on the reds: he’s got a 1966 Ch. la Mission Haut-Brion and a 1991 Clos de la Roche Grand Cru from Hubert Lignier lined up. Gianlorenzo di Neri is also opting for a Clos de la Roche, although his is a 2006 from Armand Rousseau. At the Neri household they love to compare Grand Cru Burgundy with their Brunellos, “It should be amazing to taste our 2006 Tenuta Nuova alongside.” Beyond Brunello and Burgundy, they will also be enjoying some top Nebbiolo, but it’s not an easy choice. “For Barolo we love so many producers, Elio Grasso’s Runcot – 2008 should be delicious now – or possibly Giacosa’s 2007 Barbaresco Asili Riserva.” For Mangenot, “The middle of winter is a good period to open a bottle of sunshine like Cornas Vin Noir 2012 from Domaine du Tunnel (my wife loves it!) – concentration, density, beautiful complexity, silky tannins… And a bunch of aromas that turns your dinner into a summer journey in a convertible car with your nose in the wind!” Beattig is also opting for Northern Rhône Syrah from his favourite producer Pierre Gonon, a Saint-Joseph. “I love the complexity of aromas, the spiciness. The structure of the wine, but at the same time the polished tannins. The mix of freshness, complexity and depth... love it.” At the Rothschild household it will of course be Lafite: “1988 or/and 1996: two absolute favourites of mine these days,” Saskia explains. “The 1988 is pure Lafite, extremely complex and evolving and the ’96, thanks to its perfect balance, is just so easy to drink that you’ll finish the bottle without even noticing it.” Jean-Guillaume Prats (CEO of Domaines Barons de Rothschild Lafite) is staying pretty loyal too, opting for Pomerol’s Ch. l’Evangile 2010. To finish Finally the sweets and fortifieds: there is never a better time to open aged Ports to go with the cheese and desserts of Christmas. For Lafite’s Jean-Guillaume Prats it will be Dow’s 1977 – in his words, “perfection”. Mangenot is also going for Vintage Port: Graham’s Quinta dos Malvedos 2001, “to go with a homemade chocolate mousse, and the rest of the bottle definitely to enjoy slowly by the fire with the family… Fruits, flowers, creamy character, it is a treat for the nose and the palate I wouldn't miss it at any price.” Keller decides on the sweet wines more spontaneously: “One of our favorite combinations is matching 40 and 50-year-old Ausleses with game dishes. It can taste so great. The anticipation is already great.” If fortifieds are not your thing, then take Jean-Sébastien Philippe of Lafite’s recommendation: he’ll be having a glass (or two) of Cognac de Lafite Très Vieille Réserve. He believes it is one of the most astonishing selections of old eaux-de-vies in Cognac. Browse our full range

There’s no better time than Christmas to open a treasured bottle or two. Ahead of the big day, we asked a handful of our favourite winemakers – from Saskia de Rothschild to Klaus-Peter Keller – to tell us what they’ll be uncorking

We find out the special bottles some of our favourite winemakers and distillers are uncorking this Christmas

What winemakers are drinking this Christmas

One name that kept cropping up when speaking to winemakers about wine and cheese pairing was Bernard Antony, a man who now supplies 20 of the world’s 3* Michelin chefs as well as working alongside many of the world’s top winemakers matching cheese and wine at events for Guigal, Angelus, Humbrecht and many more.   We caught up with Jean Francois Antony (Bernard's son and protege) to find out more about Affinage (the ageing of cheese) and their perfect cheese and wine pairings. 45 years at the service of taste Bernard Antony is one of the world’s great cheese makers. Strictly speaking, his mastery
is in affinage, that is finishing and ageing cheeses. From humble beginnings working as a travelling grocer in Alsace, in 45 years he has gone on to become one of the most recognised men in the world of fine cheese.  Bernard Antony was the protegé of the late great Maitre Pierre Androucet – known as “the Pope of Cheese”. Bernard says of Pierre: "To me, he was like a father. He was the man who created me, who taught us everything, to my wife and me. He didn't like me to say it because he wanted to give me all the credit for my success”.  Following on from Androucet’s advice and support, Bernard set up his own cheese ageing cellars in the early eighties in the southern Alsace village of Vieux-Ferrette. The ageing cellars are made up of seven different chambers all at different humidity and temperature levels – ideal for raising and ageing various different styles of cheese. Only when the cheeses are deemed ready and at perfect ripening are they released to the markets and delivered to restaurants. Ageing of cheeses can range from just a few months for the fresher goat’s cheeses to several years for some hard cheeses. Speaking with Jean Francois Antony, Bernard’s son, who works alongside his father, running the day-to-day operations of the cellars, he identifies that the skills in good affinage revolve around a number of key elements. First of all, “raw (unpasteurized milk) is essential if one is to speak of cheese with authenticity…taking into account the breed of animal, the animal's diet, the talent of the cheesemaker and then of course the controlled process of ripening are also key”. The cheeses arrive at the cellars already halfway through ripening and their ageing cellars go into action to give them the final touch. They provide the perfect environment and temperature for ageing as well as the most important element in the Bernard Antony cheese cellars, the natural yeasts that live there helping the cheese mature distinctly and in the best way possible. The famous ageing cellars are open for visits in the village of Vieux-Ferrette. If you are travelling through Alsace it is an essential visit. Book via their
website. They often pair the cheeses with fine wine so we thought who better to ask for advice on the ultimate cheese and wine pairings than the man himself.  Below is the Bernard and Jean Francois Antony’s essential guide to food and wine matching, split up between the different styles of cheese, with additional advice passed down from Pierre Androucet.  The Floury crust family of cheeses Camembert        Brie de Meux (un peu sale)         St Marcellin and St Marcellin (runny)     Petit Mosellan         Coulommiers         Chaource
 The classic pairing would be Champagne (Blanc de Blancs, Aged and even Rose Champagne) however Bernard Antony advises that you remove the crust as it can make the wine appear more harsh. The bubbles work brilliantly in refreshing the palate from these rich cheeses and the yeast flavours from the Champagne also work really well. Avoid tannic reds with these cheeses. One of Bernard's favourite matches include a Gevrey Chambertin 2012 from Domaine Denis Mortet with the St Marcellin. He states a white wine with both gentle oxidation and good acidity works particularly well with Petit Mosella (Saint Peray from
Domaine Tunnel or Alain Voge) or a fruity red wine with well-coated tannins such as a Beaujolais Cru wines with the Chaource and Colombier fermier. The Washed Crust family of cheeses Epoisses       Langres         Livarot     Munster  Maroilles    Vacherin         Pont-l’Eveque According to Androuet: robust and virile wines, with sap and generous bouquet work best with these potent washed crust cheeses. They require “solar wines“ which can harness the power of washed crusts. Gewurtztraminer Grand Cru from Albert Mann, Chambolle Musigny from Liger Belair would both work well. Pinot Noir from Zind Humbrecht, Bollinger 2008 Grande Annee also a particular favourites with Bernard Antony. The pressed crust family of cheeses Comte     Emmenthal        Beaufort         Gruyere Suisse According to Androuet the matches depend on the evolution of the cheese. Dry white or red wines with bouquet work well, red wine brings a balancing touch of bitterness. These cheeses flatter any red wine by erasing astringency and promoting fruit therefore making White or Red Burgundy a good match. With more ageing of the cheese, wines from the greater South-West, the Rhône Valley and Languedoc Roussillon become better matches. Other personal
favourites from Bernard Antony include Vernaccia di San Gimignano (Italy) White
wines from Valais (Switzerland), and Savignin wines from the Jura. The pressed (uncooked) crust family of cheeses Morbier   Tomme de Savoie fermiere       Mimolette demi étuvé         Salers     Roblochon  Sainte Nectaire Pairing again depends on the maturity of the cheese. The older the cheese the richer the wine. Chateau Latour 2001 is Bernard’s match with Morbier. Saint Joseph Pierre Gonon 2013 works well with Reblochon and Chateau Canon La Gaffeliere Grand Cru Classe St Emilion 2008 works well with Saint Nectaire. The family of blue cheeses Bleu d’Auvergne     Roquefort        Fourme d’Ambert      Blue de Gex          Stilton    Gorgonzola These are best paired with sweeter fruited wine or sweet wines. Avoid red wines as the mould changes the structure, the aromas and brings out the bitterness. Top picks are Rivesaltes Vins Doux Naturels, Pacharenc du Vic Bilh or aged Sauternes even red Vins Doux Naturels such as Maury, Banyuls work well with blue cheeses. The family of Goat and sheep cheeses Ossau-iraty         Brebis cremeux et parfume Brebis Corse     Chevre Frais    Chevre Moelleux et onctueux   Chevre Affiné. Vieux et sec   St Maure de Touraine Banon de Provence Chevrotin des Aravis With this family of cheeses the wine must tame the acidity of milk. The wine must work with the texture of the fat and complexity of the flavours. Androuet confirms the well-known phrase – match local wines with cheese of the same origin, particularly very dry and fruity whites. Dry white wines from the Loire – include the smoky Pouilly Fume, Sancerre, Menetou-Salon, Quincy and Reuilly work well with the goats cheeses from the region. From Burgundy, try the lighter Aligoté, Saint-Véran, Macon villages and from the Alpine pastures the white wines of Savoie or lighter reds of the Loire – Bourgueil and Chinon. Bernard Antony’s particular favourites with these cheeses include wines closer to home including Riesling Vendange Tardive 2007 from Barmes Buecher, 2002 Brundlmayer Gruner Veltliner Kaferberg 2002 and Pinot Gris Grand Cru Osterberg 2016, Domaine Agape. Read more Editorial 

Eating cheese and drinking fine wine is one of life’s little pleasures. We explore the art of ageing cheese (Affinage) and the perfect wine pairings

Find out more about affinage (the ageing of cheese) and the perfect cheese and fine wine pairings, with cheese guru Bernard Antony 

Pairing cheese and fine wine

The alchemy of affinage with cheese guru Bernard Antony 

The 2022 Bordeaux vintage may only just have made it into the winery, but it’s already one for the record books. “Unique”, “historic”, “completely new”, “extreme” – the growing season brought never-before-seen conditions to Bordeaux. And producers are clearly excited about the potential of the year.  While 2021 saw a cool, wet year with chaptalisation widespread, 2022 was hot and dry. From February onwards, temperatures were consistently above the 30-year average (by 1-3˚C), while rainfall was consistently lower than the 30-year average. Indeed, Météo France (France’s national weather service) reported that July was the driest since 1959. The weather was so dry that certain appellations were even permitted to irrigate – Pessac-Léognan on the Left Bank, and both Pomerol and Saint-Emilion on the Right.  Pierre-Olivier Clouet (Technical Director at Ch. Cheval Blanc) explained how the region had experienced dry periods before – pointing to 1976 as an example –but never before had they seen practically no rain from budbreak to harvest. This drought, combined with the heat (with four heatwaves bringing temperatures of up to 40˚C), was remarkable and made for unprecedented circumstances. He believes that the consistent dryness was key, with the vines having to self-ration from the start of the season to survive. Indeed, the winter was relatively dry, with 200 rather than the normal 400mm. Echoing Clouet’s opinion, Ch. Margaux CEO Philippe Bascaules believes that the dry April and May forced the vines to drive their roots deeper.  Budbreak was early, and – as is now almost the norm – frost struck the region at the start of April, with the mercury on 3rd and 4th April registering as low as -7 or -9˚C in some places. Noëmie Durantou Reilhac of Ch. l’Eglise-Clinet noted that they only had to use “bougies” (smudge pots) to protect the vines over two weekends, however because the cold weather fell on weekends some people struggled to get workers out into the vines. With their small holdings, the Durantou family could manage it themselves. She also noted that it was a particularly unusual and severe black frost, with tunnels of colder air that caused damage and weakened some vines. Despite this, the Durantou vines escaped unscathed. With investments made and experience gained in recent years, few saw any significant impact – there was a little at Quinault l’Enclos, but none at Cheval Blanc, and the damage at Ch. Margaux wasn’t even worthy of calculating – perhaps 5% on five blocks.   Flowering was even and as was véraison, however Durantou Reilhac reported that the grapes then took a long time to all change colour. The leaves started drooping, showing the signs of heat stress towards the end of July. She reacted by doing an early green harvest, so that the vines could focus their energies on a smaller crop – but highlighted it was important this was done early.  At Ch. Margaux, Bascaules noted that younger vines (those under 10 or 15 years old) suffered most – not having the deep roots of more mature plantings. At Cheval Blanc, they noted that it was especially those younger vines on less water-retentive gravel and sandy soils that struggled. With the high temperatures, some producers reported vines shutting down, while others said it wasn’t an issue.   Guillaume Pouthier at Ch. les Carmes Haut-Brion emphasised how the night temperatures were what really set the hot summer apart from a year like 2003. While there were a similar number of days over 35˚C, in 2003 there were eight or nine nights with temperatures above 25˚C; in 2022, it reached a maximum 20˚C in Pessac-Léognan overnight. This significant diurnal shift helped preserve aromatic finesse.  At Carmes, they worked the soil in the evenings to help retain water. To shield the grapes from the sun, they also kept a full canopy, not de-leafing at all, and used a mixture of white clay and talc to protect the grapes, which kept the internal berry temperature as much as five to 10˚C lower.  Unsurprisingly given the conditions, harvest was early. Noëmie Durantou Reilhac returned from holiday on 16th August and was almost tempted to pick then. Their team ended up holding off until 31st, while Cheval Blanc started on 29th August, finishing on 20th September. At Carmes, they picked from 5th September to 9th October, while Ch. Margaux picked from September 8th, deciding to do two passes through every block to sort out any shrivelled or sunburnt fruit.  There are two important elements to acknowledge: hail and fire. On June 20th and 21st, there were extraordinary hailstorms – with hailstones the size of golf balls. These were, however, extremely localised and struck mainly lesser vineyards in the Haut-Médoc and Médoc. Next were wildfires that raged through the region in July and August. While the fires didn’t come close enough to cause any damage to vineyards, there were fears over possible smoke taint at certain addresses. So far, however, none has been reported, with the belief that the grapes were early enough in the cycle and still had sufficiently thick skins so as not to be impacted.  In these unique conditions, the New World was a helpful reference point. Philippe Bascaules noted how more and more Bordeaux has to ask the same questions as California does, while Pierre-Olivier Clouet felt that his experience of Malbec in Mendoza was particularly useful. “We were ready to fight with this kind of vintage,” he explained.   “I think it’s going to be a big year for Merlot,” Durantou Reilhac said. “I’ve never tasted Merlot grapes with such power and amazing aromatics.” Almost in spite of the conditions, there’s perfect balance – the hitch, unfortunately, is that there simply wasn’t much of it. With the hot, dry conditions the crop was small – with tiny, thick-skinned berries. Pouthier at Carmes highlighted just how small they were – with Merlot around 1g versus 1.3-1.4 normally, while Cabernet came in at 0.-0.9g versus the normal 1.2. Carmes’s yields were down about 20%, at around 35hl/ha on average. At Cheval Blanc, they managed 30hl/ha – the same level as 2021, while at Ch. Margaux it was one of the smallest crops for a long time, with a measly 25hl/ha on average (less than 2021, 2020, 2019 or 2018). Yields tended to be more generous on plots with clay subsoils, although Durantou Reilhac found that their vines in Pomerol and Lalande-de-Pomerol suffered more than those in Saint-Emilion and Castillon, with their volumes reduced by at least a third.  Given the small and thick-skinned berries, managing extraction was key. Interestingly Durantou Reilhac found that the berries were so firm that more force was needed to extract the colour and tannin. While conventionally seed tannins aren’t desired, she highlighted how remarkable they were this year – popping in the mouth, “noble tannins” with flavours of coffee and toast, and no greenness at all.  It’s almost the opposite at Carmes, where Pouthier believes that – especially in 2022 – their passive extraction via infusion was essential. They lowered the temperature and extended the time (two to five days more than normal, at 25-26˚C versus 30-31˚C). Looking at the numbers, the level of tannins (IPT) is 15% higher than 2018 or 2020 at Carmes. Similarly, Ch. Margaux will be reducing maceration times, looking at 12-18 days rather than 15-24 and keeping temperatures cool at 25-28˚C. The risk, from Bascaules’s view, is to over-extract given the high levels of tannins.   Malic levels are remarkably low this year – the lowest many have ever seen (citing levels as low as just 0.3g/l). At Cheval Blanc, Pierre-Olivier Clouet noted that it was the highest pH they’d ever seen at 3.9. That said, the aromatic maturity is – in his words – “perfect”, with incredibly high levels of tannins that are notably “silky, smooth and ripe”. For Pouthier, the pH is similar to that of 2016 (3.6), even with the low malic levels, and at Ch. Margaux it will similarly be around 3.6-3.7.  Alcohol levels are back up to the new normal from 2021, with Cheval Blanc set to be around 14%, and levels between 14.5 and 15% across the Durantou estates, and similar at Ch. Margaux, where it’s higher than in 2018.Although potential alcohol was sitting at 14.5% at Carmes, a combination of native yeast (which is less efficient at converting sugar to alcohol) and a high percentage of whole-bunch fermentation means the final wine is likely to be closer to 13.3%.   With the uniquely dry, hot conditions, it’s hard to compare the vintage to any other – and it’s like no other year that the Durantou team remembers. Clouet fears that people will be tempted to compare the year to 2003, however it was so different. “The grapes were juicy and full this year, there was no sunburn and the vines didn’t drop all their leaves due to heat stress,” he explained. Indeed, the vines at most addresses still looked green and healthy even in mid-October. He compares it to 2009 for the silkiness and high alcohol, and perhaps 2011 for the high concentration of tannins.   Philippe Bascaules similarly thinks people will compare it to 2003, but for him it’s actually closer to 2018 – with slightly higher alcohol but also higher acidity – or perhaps 2005 and 2010. Guillaume Pouthier feels it’s impossible to compare the wines of modern Bordeaux with any other vintage, for he is part of a new generation focusing on balance and drinkability, as well as complexity and the ability to age.   Tasting the first ferments at Carmes, this is an incredibly exciting vintage. There was no sign of over-ripeness, with incredibly concentrated, vibrant fruit, and even at this infantile stage the significant tannins were silken. The year was far from easy, presenting almost the opposite challenges of 2021, and it remains extremely early to judge. But, as Pierre-Olivier Clouet said, “The wine will tell the story of the year.” And that is quite the story.   Bordeaux 2022 vintage in brief  Remarkably hot and dry conditions  A small crop of thick-skinned berries  Yields generally down by around a third – often similar levels to 2021  High tannin and alcohol levels, suggesting good ageability  Notably low malic acid levels  A unique vintage, but comparisons to 2005, 2009, 2010, 2011 and 2018  

With the 2022 crop picked and in the winery, we visited a handful of Bordeaux’s leading estates to dig into the year. Sophie Thorpe reports on the vintage and its extraordinary potential

Early notes on the Bordeaux 2022 wine vintage from Cheval Blanc, Margaux, Eglise-Clinet and Les Carmes Haut-Brion and its extraordinary potential

Bordeaux 2022 post-harvest vintage report

Bordeaux 2022: post-harvest report

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