Più vicino alla Champagne che a Beaune, Chablis è il villaggio più settentrionale della Borgogna. Qui lo Chardonnay regna sovrano, dando vita a bianchi raffinati, minerali e strutturati. Spesso non affinati in legno, i migliori uniscono purezza, tensione e straordinaria longevità.

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Scopri i vini di Chablis

Informazioni sui vini di Chablis

Domaine-François-Raveneau 1-1

Domaine François Raveneau

Vincent Dauvissat - Producer

Domaine Rene & Vincent Dauvissat

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William Fevre

Samuel Billaud - producer

Samuel Billaud

Billaud-Simon

Domaine Billaud-Simon

La-Chablisienne

La Chablisienne

Domaine-Christian-Moreau-Pere-&-Fils-

Domaine Christian Moreau Pere & Fils

Produttori in evidenza (Chablis)

Chablis

“Il tempo è necessario“, mi dice Paul-Etienne Defaix. Dovrebbe saperlo: è la sedicesima generazione della sua famiglia a produrre vino a Chablis, e al Domaine Daniel-Etienne Defaix il tempo è tutto. 
Il vino viene prodotto al Domaine du Vieux Château (nome storico della proprietà, che ancora oggi compare sulle etichette) da otto secoli, e sotto la famiglia Defaix dal 1610. Tuttavia, molto è cambiato a Chablis negli ultimi 400 anni, e oggi la tenuta è l'ultimo baluardo dello Chablis di un tempo. 
La domanda di Chablis era in forte espansione negli anni '70 e i produttori hanno ridotto l'élevage (il tempo che il vino trascorre in botte o in vasca), imbottigliando, commercializzando e vendendo i vini prima. Questi vini moderni, spesso imbottigliati entro sei-dodici mesi, erano snelli e freschi, ma per il padre di Paul, Daniel-Etienne, erano deludenti: mancavano della complessità e della longevità dei vini che trascorrevano più tempo sui lieviti (le cellule di lievito morte). Daniel-Etienne decise di fare le cose in modo diverso, di tornare a produrre vino come facevano le generazioni passate, e la famiglia non si è più voltata indietro. 
In genere, il loro approccio è quello di lasciare che il vino sia – aspettare, osservare e aspettare ancora. La fermentazione avviene interamente con lieviti indigeni ed è particolarmente lenta, durando fino a sei mesi, mentre la fermentazione malolattica viene lasciata procedere secondo i suoi tempi, completandosi solo dopo un massimo di due anni. I loro vini Premier Cru trascorrono poi fino a nove anni sui loro lieviti fini, mentre per i Grand Cru possono arrivare fino a 15 anni, conservati a una temperatura fresca di 10-12 °C. Durante il lungo affinamento dei vini, avviene l'autolisi, ovvero la degradazione enzimatica delle cellule di lievito morte, o fecce. È lo stesso processo che avviene nello Champagne e in altri spumanti metodo classico invecchiati sui lieviti, ed è la chiave dello stile Defaix – e un tempo tradizionale – di Chablis, conferendo al vino un palato più rotondo e una complessità di pane e tostatura. È anche, per Paul, "la chiave per rivelare il terroir". Sebbene le piccole quantità di Grand Cru e Pinot Nero di Defaix vengano messe in rovere, la maggior parte dei vini viene invecchiata esclusivamente in acciaio inossidabile, il che significa che solo il luogo e il tempo si degustano in bottiglia. Una volta ritenuti pronti, i vini vengono imbottigliati e commercializzati. 
Invecchiando i suoi vini in vasche di acciaio inossidabile non per mesi, ma per anni, Defaix crea vini strutturati e complessi che vengono commercializzati solo al raggiungimento della finestra di consumo. È una ribellione, mi dice Paul, contro "una società del consumo rapido". 
Ora Paul è responsabile dei vigneti e della vinificazione della proprietà, sebbene suo padre sia ancora coinvolto nell'attività. Paul ha studiato a Beaune, maturando esperienza in una manciata di tenute – principalmente incentrate sul Pinot Nero – prima di tornare alla tenuta di famiglia, passando dalle vigne alla cantina. Come gli disse Daniel-Etienne, "Devi conoscere il tuo terreno, le tue viti, poi puoi fare il vino – e poi cercare di venderlo".
E, sebbene sia spesso lo stile di vinificazione a rubare la scena a Defaix, la tenuta vanta vigneti notevoli. La famiglia coltiva 28 ettari in totale. Ha due parcelle Grand Cru (0,15 ettari a Blanchot e 0,3 ettari a Grenouilles), ma sono i Premier Cru della proprietà ad aver costruito la sua reputazione, con quattro ettari ciascuno a Côte de Léchet e Vaillons. Da questi, producono tre vini: la loro Côte de Léchet, Les Lys e Vaillon. È importante notare che quest'ultimo è Vaillon, non Les Vaillons al plurale: la loro parcella si trova nel cuore storico di questo Premier Cru, prima della sua espansione nel 1976. Les Lys è un climat più fresco all'interno dei Vaillons più ampi, ed è spesso il nostro preferito della gamma, mentre la Côte de Léchet è decisamente ripida, con una pendenza del 45%. 
Gli ettari rimanenti sono in gran parte dedicati allo Chablis, il villaggio della tenuta, le loro Vieilles Vignes. Queste viti hanno tutte più di 45 anni, ma alcune sono molto vecchie, con radici proprie, sopravvissute alla fillossera e ora di 145 anni. Quando chiedo a Paul come questo mezzo ettaro sia riuscito a sopravvivere senza innesti, si ferma un attimo, prima di rispondere: "Penso che Dio preghi per queste viti". Raccolgono solo 15 hl/ha, ma producono frutti bellissimi ("Per la mia banca, è pessimo; per il mio vino, è perfetto!" scherza Paul) e ora vengono utilizzati per la selezione massale in tutta la tenuta. L'ultima parte della proprietà è una piccola porzione di Vaillons piantata a Pinot Nero, che viene imbottigliato come Bourgogne Rouge (poiché il terreno è classificato solo per la produzione di Chardonnay). Con una superficie inferiore a un ettaro, anche queste viti sono antiche, piantate nel 1900, e ancora sulle proprie radici. 
Le loro ampie cantine sono rifornite di annate precedenti, in affinamento accurato: una riserva di vino che attenua i capricci di ogni specifica stagione di crescita, proteggendole da drastici cali di resa, una minaccia costante a Chablis. Prendiamo il 2024, un'annata che è stata impegnativa in gran parte del nord Europa con le sue condizioni umide e l'elevata piovosità. La pressione del mare, ma a Chablis ha portato anche grandine che ha devastato vaste aree di vigneti, tra cui Vaillons. 
Il riscaldamento globale potrebbe aver facilitato la maturazione delle uve in questa regione marginale, ma ha anche favorito condizioni più estreme: alti e bassi che tengono i produttori in allerta. Ha anche, probabilmente, reso Chablis un po' meno Chablis. Con frutti più maturi, i vini sono meno rigidi, tesi e snelli. Le date di vendemmia sono inevitabilmente anticipate, osserva Paul, per preservare l'acidità e mantenere la struttura dello Chablis, ma sottolinea anche che il frutto richiede non solo la maturazione zuccherina, ma anche quella fenolica, per ottenere estratto secco e consentire ai vini di invecchiare. Per lui, lavorare con viti vecchie e basse rese è fondamentale, sia per la maturazione fenolica che per preservare lo stile di Chablis. 
L'annata 2014, la prima prodotta da Paul, è finalmente uscita dalla cantina, oltre un decennio dopo la sua produzione. È stata una lunga attesa, ma le soddisfazioni ritardate fanno parte della vita al Domaine Daniel-Etienne Defaix.

Per molti versi, il tempo si è fermato al Domaine Daniel-Etienne Defaix di Chablis. In occasione dell'uscita dell'ultima annata, abbiamo incontrato Paul-Etienne Defaix, la sedicesima generazione alla guida di uno dei più antichi indirizzi della regione.

Exploring this traditional Chablis estate and its top Premier and Grand Cru wines with 16th generation winemaker Paul-Etienne Defaix

Worth the wait, Domaine Daniel-Etienne Defaix’s Chablis wine

Vale la pena aspettare: i vini del Domaine Daniel-Etienne Defaix

“Two generations ago everyone made Chablis like this. Now I am the only one left,” says Daniel-Etienne Defaix proudly. It is amazing to think that production methods could completely reverse in such a short time, no doubt fuelled by the “Chardonnay boom” of the mid-70s onwards. This insatiable global demand for crisp, clean, saline-tinged Chardonnay has shown no sign of abating ever since.  The commercial success of Chablis (one of the few white wines found in practically every supermarket, off-licence and fine wine store around the world) is staggering, particularly as the region in itself is remarkably small. While both premium growers and commercial production have, in many ways, sat comfortably alongside each other (even among the top traditional premium growers such as Raveneau, Dauvissat, Billaud-Simon and Droin, the length of élevage has reduced considerably in this time. Despite being the oldest domaine in Chablis, established in 1610, his father (like most other producers in Chablis when exports boomed) started to produce Chablis in the modern way. The time spent ageing the wine on its lees dropped down to six to nine months, in order to release the wines as soon as possible, and meet market demand. Unimpressed by his father’s results and the wines’ ageing capacity, it was Daniel-Etienne’s decision to change tact and to retrace his grandfather’s footsteps, performing a longer élevage – which for Defaix brings out the complexity and terroir characteristics Chablis is truly capable of.   So why has Etienne persisted? What is it that makes this technique so valuable to him? He admits he is fortunate to own the largest cellars in Chablis, claiming to have seven to 10 times more cellar space than anyone else in the village. ”This gives me a lot more freedom,” he explains – both in terms of ageing his wines (of which he has up to 15 vintages of each Premier and Grand Cru in the cellars at any one time), but also financial freedom. “My wines are my own bank: I don’t need to take out loans when there is a poor harvest,” he says. This no doubt puts Defaix in a minority in Chablis, where yields have been pretty catastrophic over the last decade, plagued by spring frosts. Financial autonomy has allowed him to continue making his Chablis in a traditional long-ageing method, while at the same time keeping pricing incredibly fair.  According to Defaix the key to long-ageing Chablis is protecting the glycerol content in the grapes, since it is the glycerol that takes around two years on the lees to break down and starts to act as an anti-oxidant. He does this by carrying out slow, three-hour press cycles of the grapes and keeping only the first press for bottling. He ferments at a cool 18°C, again to preserve the glycerol in the must. “Glycerol provides the balance in aged Chablis between sugar and alcohol. Glycerol gives fat and seduction to the wine,” says Defaix. “It brings a brioche taste to the wine, without being sweet.” But this takes time to produce: Defaix typically ages his Premiers Crus a staggering seven to nine years on the fine lees in tank; for his Grands Crus it can be eight to 15 years!    It might come as a surprise that – despite making this almost forgotten, ultra-traditional style of Chablis – Defaix machine-picks all his grapes. But this decision was not made easily, nor without extensive testing. He explains that they were, in fact, one of the last domaines to buy a machine harvester. Back in the ’80s his father, sceptical of others’ results, started his own research – picking half the grapes by hand and half by machine. After 10 years in bottle each year, they invited wine professionals, chefs and sommeliers to blind taste both. Every single time, the wines by machine were unanimously thought to be better. Defaix came to the conclusion that the exact timing of the harvest is more important than the hand selection. He also states that the technology makes today’s picking machines extraordinarily accurate: ripe fruit falls in the basket, rotten fruit is too light and is easily filtered out, while any green grapes stay on the vine. Turbines attached to the machine suck in the leaves and insects and are removed prior to the grapes reaching the winery. During his experiments, his machine harvested-fruit was a full 1.5% higher in alcohol than the hand-selected fruit in poor vintages.  Daniel-Etienne is the 15th generation of his family to produce wine in Chablis over the last 400 years. Now in his 35th vintage, he has never been more convinced by his traditional style, its ageability and its ability to express the varied Chablis terroir.  Read more Editorial

We explore the traditional methods behind Daniel-Étienne Defaix's wines and how the global thirst for Chablis threatened its existence.

Daniel-Étienne Defaix, Chablis wines made to age

Daniel-Étienne Defaix: Chablis built to age

Inside Burgundy – Jasper Morris MW Pubblicato giusto in tempo per Natale, il primo articolo di Jasper Morris MW evidenzia come il 2023 sia “diverso da tutto ciò che [ha] visto prima” – con la vendemmia più abbondante mai registrata e l’anno più caldo, ma i vini non sono quelli tipici di una vendemmia calda. Nota che “i vini bianchi del 2023 sono deliziosi”, accessibili già da subito e in gran parte saranno migliori se bevuti prima dei 2022, con alcune eccezioni notevoli che hanno “la tensione e la tenacia per diventare davvero interessanti”. Per lui, si tratta di “un’ottima annata per i vini bianchi, ma probabilmente non una grande annata”. Considera il Pinot Noir più vario, con “alcuni vini assolutamente splendidi e altri che mancano il bersaglio” – ma la maggior parte è “assolutamente affascinante in uno stile piacevolmente succoso”. Ha rilevato un difetto misterioso in alcuni rossi della Côte de Beaune, che conferisce un sapore e una consistenza terrosi al finale dei vini – e non ha valutato questi vini in questa fase, scegliendo di rivederli in bottiglia. Tuttavia, sottolinea: “non lasciate che questo [...] rovini la vostra apprezzamento di tutti gli altri vini di questa annata” – con “vini deliziosi, fruttati, per un invecchiamento a medio termine”. Per quanto riguarda il suo primo sguardo a Chablis, riconosce che la regione è cambiata – con il clima moderno che produce vini dallo stile più morbido, “più fruttati almeno nella loro giovinezza”, anche se “i migliori esempi avranno assolutamente ancora il carattere fondamentale sotto”. Sebbene le rese generose del 2023 possano ricordare il 2018, i vini non mostrano alcuna delle diluizioni talvolta presenti in quell’annata. L’annata è “più incentrata sul piacere che sul classicismo a lungo termine”, dice, con vini “affascinanti, aperti e per lo più ben equilibrati”, ma i migliori si conserveranno. Leggi tutti i reportage di Jasper Morris MW ed esplora le sue note e punteggi sul suo sito (solo abbonati). Burghound – Allen Meadows Allen Meadows ha iniziato con il suo rapporto su Chablis, il Mâconnais e la Chalonnaise. Sottolinea come la stagione di crescita del 2023 sia stata drasticamente diversa da quella del 2022, eppure abbia prodotto vini che non sono molto lontani nello stile. Ritiene che il 2022 sia migliore del 2023, “ma non drasticamente” – e afferma che, in termini di trasparenza del terroir, “il 2023 potrebbe avere un vantaggio”. L’annata è “mista”, sostiene, con i rossi più coerenti dei bianchi, ma con alcuni eccellenti vini di entrambi i colori. Per Chablis, evidenzia “da un lato, il 2022 è un’annata migliore in termini di qualità, ma il 2023 è più interessante dal punto di vista del terroir”. Nota che i vini saranno accessibili da giovani e che il loro equilibrio naturale permetterà un buon invecchiamento a breve e medio termine. E, come dice Meadows, “ci sono certamente vini indifferenti in entrambi i colori, ma quando sono buoni, meritano più che degnamente un posto nelle vostre cantine”. Per la Côte de Nuits, riconosce che la qualità è “davvero variabile”, con la gestione delle rese come principale fattore determinante. Ci sono, tuttavia, “molti vini aromaticamente eleganti, affascinanti e seducenti” nel 2023. Lo stile, con “tannini flessibili, buona trasparenza del terroir e reale profondità di carattere”, è uno stile che piace a Meadows. Sebbene l’anno non sia coerente – e ci siano “molte delusioni” – ci sono anche “buone quantità di vini davvero incantevoli che permetteranno una bevuta piacevole da subito e offriranno un ampio premio per un invecchiamento a medio termine”. I vini non sono concentrati come nel 2005, 2010 o 2020, nota, ma ciò non significa che siano diluiti. È uno dei tanti a sottolineare il carattere “affascinante” del 2023 – senza cadere nella “banalità”. I vini “appartengono a qualsiasi cantina seria di un collezionista di Borgogna” e i migliori sono “davvero meravigliosi per la loro pura esuberanza”. Esplora i reportage, le note e i punteggi di Allen Meadows sul sito Burghound (solo abbonati). Decanter – Charles Curtis MW Per Charles Curtis MW, l’annata 2023 a Chablis è chiaramente buona – solo leggermente dietro al 2022, ottenendo una valutazione di quattro stelle (su cinque, contro 4,5 del 2022). Sottolinea l’importanza della data di raccolta quest’anno con l’ondata di caldo, fondamentale per preservare l’acidità, e che insieme al controllo delle rese ha determinato il successo. Sottolinea come i Grands Crus abbiano offerto eccellente qualità, mentre Montée de Tonnerre e Vaulourent siano stati eccezionali tra i Premiers Crus della Rive Droite, mentre Montmains (specialmente Butteaux) e Vaillons si sono distinti sulla Rive Gauche. I migliori vini, afferma, si collocano accanto a 2018, 2020 e 2022, “con frutta matura da frutteto e pietra, texture lussureggiante, acidità bilanciata e abbondante estratto”. Potrebbero non essere così nervosi come i Chablis di un tempo, ma Curtis suggerisce che i migliori invecchieranno come il 1999, e che si tratta di “un’annata che vale assolutamente la pena di accumulare”. A seguito del suo focus pre-natalizio su Chablis, Curtis ha pubblicato il suo rapporto completo sulla Borgogna 2023 – valutandola quattro stelle (su cinque) sia per i rossi sia per i bianchi. Con le sfide poste dall’anno, ritiene che sia meno coerente del 2022, ma comunque “un’ottima annata”, con rare occasioni in cui è “veramente superba”. I vini sono generalmente “molto maturi” e accessibili, con uno stile “lussureggiante e bevibile”, anche se non ritiene abbiano la struttura per un lungo invecchiamento, collocandosi leggermente dietro qualitativamente ai 2022. Una copertura più dettagliata dei singoli villaggi seguirà. Esplora il rapporto completo, le note e i punteggi di Charles Curtis MW sul sito Decanter (solo abbonati). Jancis Robinson – Matthew Hayes Per Matthew Hayes, il 2023 offre una “quasi ripetizione dei vini fini e bilanciati del 2022” – con vini che “offriranno sostentamento e soddisfazione agli amanti del Pinot Noir borgognone classico (moderno)”. La frutta è “notevolmente fresca e rossa”, con vini più corposi rispetto ai 2021 – sebbene, nota, non siano omogenei. I vini sono quelli “che i vigneron volevano fare, piuttosto che ciò che la natura ha fatto fare loro”, osserva Hayes. Descrive i bianchi come “generalmente vivaci, con uno stile nervoso che si abbina a frutta matura e matura”. Per lui, il 2023 è un’annata buona – che si colloca accanto al 2022 in termini di qualità, con vini “ingannevolmente aperti” che possono essere bevuti in attesa dei 2019 e 2020. Esplora il rapporto di Matthew Hayes, così come le note e i punteggi dell’intero team su jancisrobinson.com (solo abbonati). Vinous – Neal Martin “Amo l’annata 2023,” dichiara Neal Martin. “Fatico a pensare a un’altra annata così piacevole dal momento in cui è stata in botte,” afferma. Sottolinea quanto sia stato importante gestire le rese per evitare eccessi, con l’anno indubbiamente una “vendemmia da vigneron” definita dalle azioni in vigna. Trova i bianchi più rotondi nello stile, sebbene non così fruttati come quelli del 2018 o 2020. Sono, dice, più tradizionali, con buona acidità che bilancia la ricchezza del caldo estivo. Nota che i vini dei terroir calcarei hanno beneficiato di ulteriore freschezza, mentre Chassagne-Montrachet “continua a impressionare grazie al gruppo di talenti emerso negli ultimi anni”. Per i rossi, li considera una combinazione tra 2020 e 2017, ritenendo che i vini siano migliori di quelli del 2017. Non è un anno da scegliere per denominazione, ma per produttore – sebbene evidenzi Gevrey-Chambertin come “una fonte di grandi Pinot Noir”, oltre alla qualità crescente e al valore di Marsannay. Alcuni vini, avverte, mancano di concentrazione e possono essere un po’ magri, e l’annata è meno coerente del 2022. Ma, in generale, “i rossi trasmettono una sensazione di trasparenza, più leggeri che pesanti,” dice, con vini freschi e croccanti, anche se i livelli di acidità non sono altissimi. Pur essendo chiaramente pronti da bere presto, dice, “hanno anche equilibrio ed energia per ricompensare chi conserva ancora l’arte perduta della cantina”. Tra i migliori produttori, il 2023 offre “un vero tesoro di bianchi e rossi che saranno pronti prima dei loro equivalenti 2022” – vini definiti dal loro fascino. Esplora il rapporto completo, le note e i punteggi di Neal Martin sul sito Vinous (solo abbonati). Wine Advocate – William Kelley Ultimo a intervenire, William Kelley ha finalmente espresso il suo giudizio sull’annata 2023 – un anno definito dall’“abbondanza”. Trova che i migliori offrano “fascino dimostrativo e immediatezza”, ma chiarisce che “non è un’annata da acquistare alla cieca”. Alcuni rossi mostrano “diluizione, livelli elevati di acidità volatile e sapori terrosi, vegetali”, e sebbene i bianchi siano più coerenti, possono essere “carenti di struttura e incisività”. Lo stile dei vini varia significativamente, osserva, e “che i produttori abbiano raccolto prima, durante o dopo l’ondata di caldo di settembre può produrre vini molto diversi, dal leggero e vegetale al profondo e muscolare”. È chiaramente affascinato dai migliori: “vini vellutati e carnosi, suavi e sensuali”, più dolci e spesso più strutturati dei 2017, e non così maturi come i 2018. Per quanto riguarda i bianchi, li trova generalmente “ricchi e sfavillanti, con texture untuose e frutta dolce” – e “quando sono uniti a buona freschezza e a un estratto secco strutturante, i risultati possono essere sorprendenti”. Li paragona a “una versione più ampia e aperta del 2015”. Esplora il rapporto completo, le note e i punteggi di William Kelley sul Wine Advocate (solo abbonati). Esplora una selezione dei 2023 di Borgogna preferiti dai critici o trova tutta la nostra copertura sulla Borgogna 2023 qui.

I critici sono stati impegnati negli ultimi mesi, degustando in lungo e in largo la Côte d'Or, e ora stanno esprimendo il loro verdetto sull'annata 2023. Ecco un riassunto di ciò che questi nomi di spicco hanno detto finora sull'ultima annata della Borgogna.

The leading Burgundy critics’ views on the 2023 wines – with a summary of what Neal Martin, Jasper Morris, Allen Meadows and William Kelley are saying

Burgundy 2023 – what the critics are saying 

Borgogna 2023: il verdetto della critica

The growing season in 2019, as is becoming the norm these days, started with a warm February and March, leading to an early budbreak at the beginning of April. An early budbreak leads to a nail-biting spring for the vignerons, where the window for frost damage is only extended. Fortunately, there were only a couple of occasions where temperatures dropped to dangerous levels, with most Chablis producers today well equipped either with smudge pots, electrical heating wires or water sprays to offset the frost damage.  At Long-Depaquit they lost just 5%, which was not a concern. Samuel Billaud notes that the frost was much more dangerous on the lower slopes of Chablis where damage was higher than the 1er Cru and Grand Cru sites which were largely undamaged. For Olivier Bailly, winemaker at Domaine Billaud Simon, it was not simply the direct damage of the frosts (particularly on the night of 14th April) but the resultant stress on the vine following the outbreak that saw yields further affected. However, the real issue in regard to yields, came down to flowering rather than frost, with a windy, rainy, wet period during May which meant yields were notably affected. This period led to a lot of heterogeneity in the bunches and also noticeable millerandage (which results in very small berries): this does not affect quality but markedly lowers yield. Unlike 2018, therefore, 2019 is a low-crop vintage with producers’ yields ranging from 20 to 40% below normal. Despite the poor flowering, the rest of the growing season was straightforward, with very little rain and plenty of sunshine, which meant excellent sanitary conditions in the vineyard with no rot at all and very little sorting required at picking. There were two short heatwaves, one at the end of June and another at the end of July, which did cause sunburn damage to exposed grapes but other than that, no sorting was required. Regarding temperatures and rainfall, it was similar to 2018 with average rainfalls down 50% on average. Temperatures were also a full 2.2 degrees above average during the growing season, which is quite extraordinary. When comparing the similar effects of drought and sunshine in the 2018 vintage, vignerons talked about how the high yields helped dilute the intensity of the sun. With half the crop, how did the grapes survive in 2019? Was this to be a low-acid vintage with abnormal tropical fruit tones like 2015 or 2003? Matthieu Mangenot, winemaker at Domaine Long-Depaquit, describes how something quite unusual happened. In the later part of the growing season, the grapes concentrated – with water in the berries evaporating from the skins. This increased sugar levels and therefore alcohol (typically to 13.4 to 13.8%, which is high for Chablis, but it concentrated the acid levels too. Despite the drought and heat, the acid levels sit close to great vintages such as 2008, 2014 and 2018, with a pH of 3.25 to 3.3 after malolactic fermentation. Olivier Bailly at Domaine Billaud Simon had even higher acidity levels (between 3.10 - 3.25 pH), stating, “It is the magic of Chablis to find Chardonnay retaining such acidity, despite the warm weather”.  The result is, as Mangenot told us, “undoubtedly a ripe, concentrated, powerful vintage, but with a freshness too, at the same time retaining real Chablis mineral typicity. It is a hot, warm vintage but it does not really behave like that in the glass.” The fruit ripeness is similar to ’15 – but there are no excess aromatics of over-ripeness or yellowness in the wine that is typical of the low-acid vintages like ’05 and ’06. The acid profile is much more like ’17, and very much still retaining a sense of place, avoiding the tropical fruit aromas of 2015. Samuel Billaud describes 2019 as “highly concentrated Chablis with sun-kissed aromatics – it is concentrated, with balanced structure and excellent minerality. It is a ‘gourmand’ [moreish] vintage, yet with tense, structural minerality.”  Our own impressions is there is no doubt a concentration and aromatic pungency to the wines, yet the nose retains the Chablis-esque chalky minerality and savoury dried-straw tone, as well as lifted floral aromatics. There is noticeable power, weight and warmth to the palate even on the Premiers Crus, with the top examples retaining mouth-watering acidity despite this opulence and concentration. They really have a wonderful combination of intensity and power, while retaining mineral typicity. Producers such as Samuel Billaud still has a majority of his 2019s undergoing élevage, with the Grands Crus left another six months in tank before being bottled. Despite them being babies the wines are already showing a lot of promise. Billaud compares his 2019s to the 2016s in terms of riper aromatics, but with much more concentration and minerality. It also has similarities to the 2017 vintage when it comes to structure and minerality, he says.  For Mangenot, the power and concentration allied with vibrant acidity and minerality makes this vintage hard to compare, “It doesn’t really taste like any other,” he says, “but for Chablis-lovers, it makes it a fascinating vintage to discover.” Read more Editorial

As the first Chablis 2019s are released, we talk to top producers in the region – including Samuel Billaud, Matthieu Mangenot from Domaine Long-Depaquit and Olivier Bailly from Domaine Billaud-Simon – about the vintage

We talk to top producers in the region Samuel Billaud, Domaine Long-Depaquit and Olivier Bailly from Domaine Billaud-Simon – about 2019 the vintage

2019 Chablis first look at the vintage

Chablis 2019: a first look at the vintage

With the recent fruitful set of vintages from practically all the classic French regions, you would be forgiven for thinking one is spoilt for choice for quality and even quantity. The utter devastation across France’s vineyards this spring, however, due to persistent and heavy frosts, was a real wake-up call. There will be very little wine made in 2021 throughout France and the scarcity in the next 12 months will be a reminder of just how volatile and vulnerable wine production can be. Chablis took a particularly big hit, with production set to be down by as much as 80%. Expect to see global shortages of the more basic appellations (Petit Chablis, Chablis and Bourgogne Blanc) imminently, with 2020 stocks of these wines already largely sold. With this in mind, we look at the Premier Cru and Grand Cru 2020 releases with added interest and gratitude. Fortunately, it turned out to be another hugely successful vintage for the region (and Burgundy more generally), yet quite different in character to 2018 and 2019. Like much of Western Europe, Chablis experienced the warmest 12 months of temperatures on record, warmer even than 2003. This meant a very early start to the 2020 growing season and, while there were outbreaks of frost, the damage remained minor, particularly when compared to 2021. It was, according to Domaine Long-Depaquit’s Matthieu Mangenot, “a very easy vintage to manage, in terms of viticulture”. With a 40% reduction in rainfall and over 300 hours more sunshine than average, there were next to no disease issues in the vineyard. The dry weather even retarded weed outbreaks and this meant little to no spraying was required in the vineyards. But this shortage of water was bound to also stress the vines. “The drought caused the vines to slow down the maturation process of the grapes,” explained Mangenot. “This was quite an unusual phenomenon.” Since the growing season had started early, vignerons were looking to pick early, but the sugar in the grapes remained low throughout the summer and was only rising very slowly, pushing picking dates later and later. While this raised concerns over when to pick, it also provided many benefits to the final wine – benefits that would only become apparent after fermentation. For Mangenot, the very slow maturation process allowed more acidity to be retained. The berries also remained very small, helping to increase concentration. Despite this, the potential alcohol remained very reasonable – producing much more “classic” levels in the finished wines, around 12.2-12.5%. The other advantage of this slow ripening was that, unlike in the last few hot vintages, there was a lot more time at harvest to pick. Vignerons could take their time and pick certain plots only at optimum ripeness. In fact, after a couple of days spent harvesting the more mature vineyards, Long-Depaquit took a two-day break and slowed down the picking, just to enable the grapes to reach that extra level of maturity. While Domaine William Fèvre’s Didier Séguier was concerned about the effect of the sun’s intensity in July, he was happy to find “a very fresh profile to the vintage” – driven by what he describes as the “double face of the grapes”. One side of each row and therefore bunch was more exposed to the sun, providing a riper, warmer fruit profile, while the other side of the row, where the fruit was more shaded, produced fresher and greener flavours. Combined, the results proved complementary. Importantly Séguier noted that, while 2020 was a warm year, August was not as hot as in 2019; as such, the grapes were not as extremely ripe as in 2019, but did ripen less uniformly. WiIliam Fèvre started harvesting on 25th August – the earliest harvest date in the domaine’s history, alongside 2003. For Séguier, the main challenge was the difference in ripeness – “not just even between parcels, but also on the same row and even the same grape!”. In this respect, selection was key. For most, harvesting took place from 22nd to 23rd August and continued over a two-week period. Yields overall were about 20-30% down, due to a number of factors. A very cold snap in the spring damaged some vines, while the small berries also meant there was a lot less juice in the berries, and the bunches themselves were also much smaller. The biggest threat to yield, however, was the number of shriveled berries due to the drought. While these could easily be removed at sorting and therefore not affect quality, it was the main cause for the drop in yields. In many ways, 2020’s warm, sunny conditions seem similar to those of 2018 and 2019, yet the profile of the wines is completely different. The alcohol levels are much lower and the acidity levels much higher – the pHs sit around 3.3 to 3.35 (compared to 2019 which was closer to 3.45). Another point of contrast with 2019 was the relatively high levels of malic acid in the grapes found at some properties/in some vineyards – something that typically decreases in very sunny vintages This worked in the vintage’s favour for producers like Mangenot, since after malolactic fermentation there was more lactic acid. This added richer notes to off-set the citric acid backbone of the wines, bringing greater balance. All these factors are in direct contrast to 2019 – a very successful vintage, but almost the opposite in terms of flavour profile. “In 2019 there was lots of evaporation of water from the berries creating an intensely concentrated and stone fruit aromatic profile,” says Mangenot. “The grapes were ripening extremely quickly in 2019 and it was a rush to pick everything before the danger of over-ripeness crept in. If anything, the 2020 was the opposite, with some wines having a green, lighter, herbal edge – on the positive side of that spectrum.” For him, the 2020 vintage has become difficult to compare. “While it shares the very warm conditions of 2003, 2009, 2015, 2018, it doesn’t behave in the glass like any of them.” For Vincent Dauvissat, it reminds him of 2002 with a touch of 1997 – two dry vintages that managed to preserve their acidities and mature beautifully. “It is a vintage with a lot of charm and a very nice freshness,” he says. Dauvissat, unlike Long-Depaquit, had very little malic acid in his grapes and seemingly fewer issues with drought. “The vines at the estate do not seem to me to have had any water stress,” he says. “A few plots on the plateaus would have shown a little more, but the maturities followed their normal rhythm.” The 2020 vintage, according to Mangenot, is “one for the laboratory”. He thinks it is fascinating how the Chardonnay is adapting to climate change. How the Chardonnay can react on the vine to warmer and drier vintages without losing its sense of place. “Despite the heat and dryness, the alcohol levels are normal, the acidity levels are exceptional and the overall balance on the palate means the wines are representative of an excellent vintage for the region.” Mangenot was so impressed by the fleshiness in his Premiers Crus and Grands Crus, he was confident enough to extend the wines’ élevage on their lees – adding further tension and flavour complexity to the wine. “It is a vintage with great ageing potential in terms of balance and acidic backbone,” he says, comparing it to 2017 or 2012 – very popular vintages for vignerons in Chablis, where the acidity is classic but there is flesh too. It is what he calls “a truer expression of Chablis”. Séguier is also extremely pleased with the vintage. “The 2020 has the freshness of 2017, and the concentration and the expression of 2019,” he says. “A vintage that expresses a superb minerality and freshness with a nice intensity of fruit and especially citrus fruit characters.” While many wines are still maturing in tank (due to the extended élevage), there is a great sense of relief from those we spoke to. Firstly, no vigneron in Chablis is comfortable picking their grapes in August. The weather tends to still be very warm, bringing concerns about the grapes’ health once picked in such hot conditions. For Mangenot, however, this was managed well in 2020 and did not negatively affect the wines. Secondly, the year proved that a warm dry vintage can still produce a very classic Chablis style – defined by a citric fruit profile, floral aromatics and distinct mineral salinity. From what we have tasted this summer, the wines are excellent. The vintage offers great terroir focus, with each of the Premiers Crus and Grands Crus being unique in terms of flavour profile and structure. It looks set to be a classic vintage for the region, with lots of freshness and minerality – and a fascinating year in which to explore Chablis’s diversity. With production levels decimated in 2021, this will be a vintage to go long on. Learn more about the Chablis region or read more Editorial

Hot and dry, 2020’s conditions don’t seem to lay the ground for classical, pinpoint Chablis – yet somehow the wines are just that. We spoke to some of the region’s top producers about the vintage’s unexpected outcome

Speaking to top Chablis producers about how 2020’s hot and dry conditions unexpectedly produced classical, pinpoint wines.

Top Chablis producers on the 2020 vintage

Chablis 2020: a mineral, saline sucker punch of a vintage

Burgundy expert Jasper Morris MW has had his finger on the region’s wine pulse for several decades. Especially for FONDATA, he profiles eight domaines to watch, producers that are bringing vital energy and fresh winemaking talent to the celebrated wine region 

Jasper Morris MW on eight of Burgundy’s most exciting domaines – including Eleni & Edouard Vocoret, Chantereves, Alvina Pernot and more 

The new Burgundians – Jasper Morris MW 

The new Burgundians

In recent years, Chablis has faced hot, dry summers that have challenged the classic, cool, steely, linear-styled Chardonnay for which it’s renowned. But 2021 bucked the trend, with moderate temperatures and plenty of wet weather. The crop was small, but the best wines have laser-like acidity, refreshing mineral salinity and delicate floral tones.  Following an extremely warm start to the growing season (with almost summer-like 25˚C temperatures in March), budburst was two weeks earlier than normal. A warm early spring, as is more and more commonplace in Chablis’s warming climate, put viticulturalists on high alert. With early budding shoots, frost was a major concern, and it wasn’t long before their worst fears were realised.  For 10 days straight in early April, temperatures at night dropped well below freezing. Thanks to a mass of cold air coming down from Northern Europe, temperatures were consistently dropping as low as -8˚C. The real devastation happened on the nights of 6th and 7th April – where rainfall just prior to dusk increased humidity levels, allowing moisture to get inside the buds. The water droplets froze, expanding and effectively exploding the buds, totally destroying them. At such low temperatures, smudge pots and wind turbines can do little to protect the vines. Between 80 and 90% of Chablis’s first buds were destroyed. Vignerons therefore had to rely on secondary and tertiary buds if they were to produce any wine this year. But producers already knew production would be decimated, since these secondary shoots produce far fewer bunches – typically just a bunch per vine. Barely had the season started and the vignerons were looking at losses of up to 80%. While the rest of April and May were a quiet time in the vineyards, it was the calm before the storm. Lots of rain and a significant increase in temperature in June saw the canopy expand rapidly. These storms meant vignerons had to be quick to fight the onset of mildew – not so easily managed with so much rain, particularly for organic growers who have to spray the vines after every episode if they were to sufficiently protect them. The stormy wet weather continued into July and it was viticulturally challenging to keep the vines in a good state. With the wet weather, it was difficult to get tractors into the vineyards to spray; organic producers were further limited by restrictions on copper applications. August was drier, but – like June and July – remained cold and the grapes only started to go through véraison (changing colour, representing the shift of the vine’s energy to ripening fruit rather than growing leaves and shoots) at the beginning of September. Even then, the ripening of the grapes was very heterogeneous and under-ripeness was starting to be a concern. As a potential harvest date grew near, another storm arrived, with substantial rainfall on the 17th, 18th and 19th September. Vignerons were forced to gamble, holding off picking until after the storm, despite the substantial threat of botrytis; or to pick before and risk under-ripeness. Most opted for the former, having to wait a few days for the dilution of the grapes that followed the rainstorms to pass before harvesting. It was then a race to get the grapes in before the onset of botrytis. Most started to pick from 20th September onwards. Vignerons had to identify which vineyards were most at risk and quickly get that fruit in before tackling other sites. Typically, the Grands Crus and Premiers Crus – with their elevation and aeration – were less affected, but no site was without risk. With such heterogeneous ripening, and the risk of both botrytis and under-ripeness, sorting was essential to produce quality wine in 2021. Any botrytis would make the must prone to oxidation and darken the colour, but most notably diminish the purity and minerality that defines Chablis. Hand-picking, protecting the fruit in small baskets and whole-bunch pressing the grapes were all key to preserving quality. The style of the vintage is defined by its relative coolness. The wines are taut, with powerful, energising acidity, putting the wines alongside 2011, 2012 and 2014. They aren’t as full as those of 2014 and 2012, yet have similarly vibrant acidity levels. Unlike the recent warm vintages of 2018, 2019 and 2020; 2021 is not a fruit-driven vintage, but more floral (white flower), herbal (a charming herbaceousness) matched by powerful energy from the acidity. With the cool conditions, warmer Premier and Grand Cru vineyards tended to fare better, with producers suggesting that Les Clos performed particularly well. The sunny site has naturally lower acidity, a rounder texture and huge natural density, playing to the leaner, acid-driven style of the vintage. Vignerons’ work in the cellar will also play more of a role in the finished wines. Domaine Long-Depaquit, for example, extended the lees contact and carried out more bâtonnage to create more body in the wine, helping better integrate the high acidities. With yields decimated by as much as 80%, only tiny volumes will be available, and the wines will prove particularly difficult to find after their initial release. Although the vintage was by no means easy, the best wines are classically styled with a backbone of vibrant acidity – offering a distinct change to the solar 2018s, 2019s and 2020s. Huge thanks as ever to Matthieu Mangenot of Domain Long-Depaquit for his detailed insight on the vintage. Discover all current Chablis listings or read more Editorial 

The 2021 vintage was difficult everywhere in France, with viticulturalists facing challenging weather throughout the season – but perhaps nowhere was hit quite as hard as Chablis. But the region’s winemakers are no stranger to adversity. Gavin Smith digs into the vintage

Find out everything you need to know about Chablis 2021 – a challenging vintage that produced a small crop of steely and classic Chardonnay

Chablis 2021 vintage report

Chablis 2021: a steely year for the region

Inside Burgundy – Jasper Morris MW  “Bountiful and beautiful” reads the headline of Jasper Morris MW’s overview of the 2022 vintage in Burgundy. He finds it to be an overwhelmingly consistent vintage – one with “occasional touches of greatness”. He compares the whites to those of 2020, with a touch less energy but more precision, and the reds to 1985, 1999 or 2002 – “just short of top flight but a really lovely flavour profile of medium density and longevity”. Although he feels that it is not largely a year set to be legendary, these are wines that will drink well early, are unlikely to shut down and also have the capacity to age. It is a “fine and classic” vintage, but some areas have particularly impressed him: the whites of Puligny-Montrachet (where he feels there is a return of the appellation’s typical floral aromatics, and it's the finest vintage since 2017 or maybe 2014) and the reds of the Côte de Beaune, which he feels offer “just that little bit extra” in comparison to those of the Côte de Nuits, highlighting in particular the performance of Pommard and Volnay. In Meursault, he feels quality is generally excellent, but notes the sunny conditions led to the odd heavy wine, particularly so in Charmes.  He notes that in Nuits-Saint-Georges there was a storm a week after the much discussed event of 22nd June in Gevrey – impacting volumes largely, however he notes that there were a few wines with “furry tannins and less precision”. By contrast, Vosne-Romanée escaped the excesses of late June and is “looking very good”, with “some spectacular individual performances”, including Georges Noëllat and Mugneret-Gibourg. Although Chablis was at risk of frost, Morris explains how it escaped a repeat of the damages of 2021 and recovered yields with secondary buds. He argues that 2022 is “a very good vintage of clean, pure, well-constructed wines which are recognisably from Chablis – not the mouth-puckering style of previous decades, but Chablis in its modern image, which I would argue is every bit as valid”. Although accessible in youth, he feels the wines will age and some have “the potential to thrill”, not yet revealing everything they have to offer. For him it sits above most recent vintages, bar 2014, rivalling the wines of 2020.  Explore Jasper Morris MW’s full report, notes and scores on Inside Burgundy (subscribers only)  Burghound – Allen Meadows  In Allen Meadows’ report on Chablis, the Mâconnais and the Chalonnaise, he writes that the “relatively tranquil if incredibly warm” growing season resulted in “ripe, delicious, plump and round whites and very ripe yet still fresh reds, both of which should repay short to mid-term cellaring”. Like Morris, he emphasises the consistency of the year – and a rare vintage where both colours excelled. Despite the exceptionally hot and dry conditions, the 2022s are “fresh, bright and utterly delicious, if not classically styled, reds and whites”.  He feels that the best 2022 whites are defined by their freshness, while for the reds it is their generous textures – “a seductive blend of velvet and punch”. Although it is a consistent year, he warns that a handful of wines are a little heavy with acidities not always as high as he’d like.  For the whites, he compares them to 2020 or 2017, but with a little more flesh than the latter, and the reds are again closest to the best 2017s but a little riper. The best 2022s, Meadows says, are “lovely ‘do everything’ wines. This is to say that even if they’re not destined to be great wines, they do everything well.”  As for the Côte de Nuits, Meadows declares 2022 a “modern classic”. Despite the hot, dry growing season, “the wines, while ripe, are wonderfully refreshing and transparent”, “vibrant and inviting”, impeccably well-balanced”.  Interestingly, he suggests that the vintage’s lower alcohol levels are attributed to inefficient yeast converting 18.5g/l sugar to 1% alcohol, rather than the standard 17-17.5, something that producers can’t explain.  The reds are, he says, “fun” – “ a pleasure to drink”, yet also offer “substance, complexity and intellectual titillation”. They combine transparency with concentration, he feels, and that is a seductive combination. The tannins are “ripe, pliant, and, for lack of a better term, don’t stick out”, while the acid levels maintain balance, even if they aren’t analytically that high. He emphasises the wines’ approachability, yet also their ageability.  Although he doesn’t pretend that it is entirely uniform, with some wines that don’t meet his standards, it is “less variable than probably any vintage since 2015”. Comparisons are various and tricky, but he feels that 2022 is a combination of two-thirds a ripe vintage, with one-third of a fresher one – such as 1990 and 19991, 1996 and 1997, 1999 and 2000 and so on. Whichever you compare it to, Meadows is clear that the 2022s “belong in any serious Burgundy collector’s cellar”.  Explore Allen Meadows’ full report, notes and scores on the Burghound site (subscribers only)   jancisrobinson.com – Matthew Hayes  Jancis’s “man on the ground” in Burgundy is Matthew Hayes, and he provides the bulk of her coverage, although she will offer thoughts following tastings in London in mid-January.  “Beyond any doubt, 2022 has produced excellent, both red and white, up and down the Côte d’Or and beyond,” writes Hayes, although pinning down where it sits on the spectrum of great to good proves tricky. While there are outliers, he feels that the wines generally show “impeccable balance of tidy, ripe fruit, discreet acidity and equally (and mostly) refined tannins”. Many of the Grands Crus, he says, are concentrated and intense, yet “disarmingly understated” – not as rich and savoury as 2019 or 2020, but there are nevertheless “some absolute crackers”. He finds that the classification of wines is generally reflected in the wines, with each tier offering a significant step up in quality. Most importantly, although exceptions exist, it is “across the board and in both colours” a year that has produced fresh and balanced wines for the medium to long term – with value and quality.  Read Matthew Hayes’ full vintage report, notes and scores on the Jancis site  Decanter – Charles Curtis MW and Andy Howard MW Decanter’s Chablis coverage comes courtesy of Andy Howard MW. For Howard, 2022 is “a very good year – and potentially an excellent one” in Chablis, earning a 4.5 rating (out of a possible five). He finds the wines offer good balance and taut acidity, combining typical minerality with riper fruit thanks to the warm, dry conditions. He suggests the wines blend the freshness of 2017 or 2021 with the ripeness of 2019 and 2020, but picking date was key to retaining acidity – and some who missed the mark produced higher-alcohol, tropical wines. The best, however, will “age beautifully for many years”, thanks to their “winning combination of fruit ripeness combined with fresh acidity and classic Chablis notes of salinity and minerality”, making it “a year to stock up on”.  As for the rest of Burgundy, Charles Curtis MW writes that the reds offer “lush fruit expression, full body, well-developed but velvety tannins and abundant extract”, while he argues that the whites are mostly best for early drinking, with similarly “lush fruit” and “relatively soft acidity”. It is the acidity that limits the wines, in his view, mostly for the whites – meaning they earn a four out of five, while the reds reach 4.5 in Decanter’s vintage rating system. The reds “will age gracefully in the cellar”, and he feels are largely homogenous. Although he found the whites more varied, he notes that those of the Côte de Beaune’s most famous villages – Meursault, Puligny-Montrachet and Chassagne-Montrachet – were generally consistent.  Explore Andy Howard MW’s Chablis report, notes and scores or dive into Charles Curtis MW’s report on the rest of Burgundy in 2022 on the Decanter site (subscribers only)  Vinous – Neal Martin  Once the satirical introduction, with a commentary on pricing, is out the way, Neal Martin dives into his detailed report on 2022 – a year that he feels is “a treasure trove of bright ‘n bushy-tailed whites and reds in a season that implied such wines would be impossible, wines predestined to give immense drinking pleasure”.  He highlights how June’s dramatic thunderstorms were key and have defined the vintage, balancing the hot, dry conditions. “I posit that vines were stressed, but stress that they have learned to cope with,” he says. Pairing this with a shift towards a gentler touch in the winery has sculpted the 2022s – wines which he is clearly impressed by.  As we found, he emphasises that producers are split on whether the wines should go through another winter’s élevage or should be bottled early, emphasising that the high volumes of 2023 and limits on cellar capacity are a consideration at some addresses.  All in all, “I cannot remember a Burgundy vintage that elicited so much joy from barrel,” he says. He highlights the whites’ “freshness, particularly their textures, and the deft use of extract that lends weight and presence and heightens umami”, while the reds “fit more into the mold of cooler and classically styled vintages. Lighter colors, delineated aromatics, often tensile, surprisingly vibrant wines with ample weight and length, despite comparatively higher pH levels that vary between 3.25 to 3.50 pH”. The lower alcohol levels (12.8-13.5% for the most part from his conversations) are key, “lifting terroir expression and enhancing that elusive, intangible notion of Pinoté. Prosaically, it imbues the 2022s with drinkability.” The wines’ approachability is perhaps their weakness, he suggests, as the wines are “blessed with the balance and substance to mature exquisitely in bottle”, yet the reality is that most will be consumed within the next five years.  While quality is very consistently high, he doesn’t feel that the year is “a bevy of potential legendary wines” – not perhaps quite reaching true greatness in his book. That said, he advises readers to “fill their boots” where prices seem fair, for it’s a year he “will enjoy returning [to] time and again”.   Explore Neal Martin’s full report, notes and scores on Vinous (subscribers only)  Wine Advocate – William Kelley  Last out of the gate with his report is William Kelley, declaring 2022 “another very strong Burgundy vintage, offering excellence in both colors and in a wide variety of styles, foregrounding the fascinating nuances of site that render this region so interesting”, with wines that are “succulent, suave and charming”.  He notes how the dry, hot conditions somehow slowed the fruit’s development, as well as being another to emphasise the importance of June’s rainfall, as well as the sprinkling that fell in late August which “unleased ripening”. He warns that picking dates were key and at the extreme fringes, “early-picked 2022s present a delicate, pretty style that can lack a little substance” while later-harvested wines “span a spectrum from deep and muscular to overtly fat and jammy”. Fortunately, however, he finds that most wines sit between the two – “harmonious and charming with alcohol between 12.5% and 13.7%, reminiscent, in reds, of a hypothetical marriage of 2017’s easy charm with some of 2015’s depth and in whites, evoking a somewhat more giving, open version of the 2020 vintage”. These are, he says, “pleasure-bent Burgundies that will delight in their youth and at maturity”.  The success of the year is not merely due to the growing season, he writes, however, but the adaptation of producers to warming conditions – both in the vineyard and winery. Pricing remains a challenge, and he discusses the various factors at play, but celebrates the fact that few producers looked set to increase prices. Beyond this, he also highlights the ongoing threat posed by the troublesome rootstock 161-49C – highlighting that this is another reason to take advantage of “a comparatively abundant crop of high-quality wines”, something which “isn’t to be taken for granted”. Having re-tasted many 2021s in bottle, he also emphasises that “while 2021 is far from consistent or uniformly great, any Burgundy purists who have overlooked the vintage may want to reconsider their position”.  Explore William Kelley’s full report, notes and scores on the Wine Advocate (subscribers only)  Explore a selection of the critics’ favourite 2022s or read more about Burgundy 2022

After extensive tastings in the region, the world’s leading wine critics are ready to declare their verdict on Burgundy’s 2022 vintage – a year that shows incredible promise. Here’s your crib-sheet to what the top tasters are saying about the year so far

The leading Burgundy critics’ views on the 2022 wines – with a summary of what Neal Martin, Jasper Morris, Allen Meadows and William Kelley are saying

Burgundy 2022 – what the critics are saying

Burgundy 2022: the critics’ verdict

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Questo articolo si trova presso FINE+RARE HOME Hong Kong, ed è disponibile per la consegna o il ritiro in sede. La maggior parte delle consegne a Hong Kong può essere effettuata entro 3 giorni lavorativi; la data esatta sarà comunicata al momento dell'organizzazione della consegna. Le consegne internazionali richiedono tempi più lunghi, ti preghiamo di contattarci per maggiori dettagli.

I vini venduti en primeur saranno rilasciati dal produttore dopo limbottigliamento, tipicamente 18 mesi dopo la fine della cosiddetta campagna. Il tuo vino sarà poi conservato da FINE+RARE in un deposito doganale fino a quando deciderai di richiederne la consegna.

Reperiremo questo articolo attraverso la nostra rete di fornitori e ne organizzeremo la spedizione a FINE+RARE.
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 Ogni articolo viene controllato al momento della ricezione dal nostro team di esperti, con fotografie disponibili su richiesta (si prega di notare che potrebbero essere applicati dei costi).

Chablis

Informazioni sui vini di Chablis

Informazioni sui vini di Chablis

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