Maylis Marcenat non rientra nello stereotipo del produttore bordolese. Vivace, con i piedi per terra e umile, è la più tranquilla che ci sia. È la quarta generazione della sua famiglia a gestire Clos de Sarpe, una piccola tenuta Grand Cru Classé Saint-Emilion che da tempo è passata sotto il radar. 
La storia del Clos de Sarpe 
Il nome Clos de Sarpe compare per la prima volta nel 1897, dato da un certo signor A. Ducarpe alla sua proprietà sull'altopiano della Sarpe. Il barone Henri du Foussat de Bogeron acquistò il vigneto nel 1905, unendolo ai vitigni della vicina Badette per creare Ch. Haut-Sarpe. Jean Beyney acquistò Clos de Sarpe nel 1923 e fece rivivere il nome originale. Suo figlio, Yvan Beyney, subentrò nel 1952, che a sua volta passò la proprietà a suo figlio Jean-Guy Beyney nel 1986. Jean-Guy possiede ancora oggi la tenuta ma si ritirò nel 2021, cedendola a Marcenat, che è sua nipote. (Jean-Guy ha un figlio, Charles, che dà il suo nome al secondo vino della proprietà e alla fine erediterà Clos de Sarpe ma non è interessato a gestirlo giorno per giorno.) 
Lo stile dei vini Clos de Sarpe attraverso i secoli 
Lo stile e la vinificazione si sono evoluti nel tempo, con ogni generazione che ha lasciato la propria impronta sui vini. Inizialmente il vino veniva fermentato tutto a grappolo intero, con lunghe macerazioni (dai 40 ai 50 giorni) e trascorreva diversi anni in vasche di cemento prima dell'imbottigliamento. In effetti, sotto Yvan, ciò continuò. Vendeva vino solo a coloro che sapevano conservarlo correttamente, e come tali alcuni vini trascorrevano lunghi periodi di tempo in cisterne: ad esempio il 1966 rimase nel cemento per 10 anni. Yvan cercava la purezza del frutto, raccogliendolo relativamente tardi (era sempre orgoglioso di dire di aver raccolto contemporaneamente a Figeac, dice Marcenat) e non usava mai il rovere. I vini erano duri in gioventù, avevano bisogno di tempo per ammorbidirsi, ma avevano una grande stabilità grazie al loro lungo affinamento. 
Sotto lo zio di Marcenat, arrivato nel 1986, le cose iniziarono a cambiare – con la fine degli anni ’90 un momento cruciale. Jean-Guy predilige vini potenti e ha ridotto la quantità di tempo che i vini trascorrono in vasca, introducendo la diraspatura (gradualmente, dal 1997, all'inizio tutta fatta a mano) e botti di rovere – con l'élevage che è passato da tutto cemento a rovere nuovo al 100% tra il 1997 e il 1999. Ha assunto Michel Rolland come consulente a partire dal 1998, e ha ridotto le rese – raccogliendo un massimo di 25hl/ha. 
Nel 2005, Jean-Guy ha introdotto un diraspatore meccanico e una cernita densimetrica, entrambi i quali hanno contribuito a un cambiamento significativo nella qualità, e tutto è stato diraspato dal 2010, per incoraggiare un profilo tannico più rotondo in gioventù. Nel 2012, alla proprietà è stato concesso lo status di Grand Cru Classé, riconoscendo i loro sforzi. Marcenat è entrata ufficialmente nel team nel 2014, portando la propria visione, spingendo per ulteriori cambiamenti a partire dal 2016 e assumendone infine il pieno controllo nel 2021. 
Clos de Sarpe oggi 
I vigneti di Clos de Sarpe si estendono per 3,68 ettari, tutti in un blocco sull'altopiano di Sarpe ed esposti a sud/sud-est, a solo un chilometro dal villaggio di Saint-Emilion stesso e vicino sia a TrotteVieille che a Troplong Mondot, così come a Sansonnet e Haut-Sarpe. 
Qui il terreno superficiale è sottile – solo 20 cm in alcuni punti – e si trova su un substrato roccioso calcareo, che contribuisce all'elevata acidità dei vini (normalmente con un pH basso di 3,2-3,4). Oltre la metà del vigneto ha tra i 60 e gli 80 anni, con il Cabernet Franc più vecchio che ha ormai più di 100 anni, piantato dal prozio di Marcenat nel 1923. 
L'età della vite si combina con il substrato roccioso calcareo per aiutare questo sito a resistere a condizioni calde e secche: un vantaggio particolare quando il clima cambia. Il calcare agisce come una spugna, trattiene l'acqua, e le radici penetrano in profondità nel substrato roccioso, accedendo a queste riserve. Le rese sono naturalmente basse data l'età delle viti, e le annate recenti hanno visto alcune rese minuscole, ma Marcenat punta a circa 35 hl/ha in una buona annata (più che sotto suo zio e l'influenza di Rolland). 
Per preservare l'età del vigneto, Marcenat sta gradualmente iniziando a reimpiantare il sito. Come parte di questo progetto, ha aggiunto un po' più di Cabernet Franc e una piccola porzione di Petit Verdot. Precedentemente 85% Merlot e 15% Cabernet Franc, oggi il vigneto comprende 78% Merlot, 20% Cabernet Franc e 2% Petit Verdot.
La famiglia ha sempre lavorato in modo biologico, senza mai utilizzare pesticidi o erbicidi, ma il vigneto è ufficialmente certificato dalla vendemmia 2020, cosa di particolare importanza per Marcenat. Per lei il lavoro si svolge tutto in vigna piuttosto che in cantina e la filosofia è molto borgognona, mantenendo tutto il più semplice possibile. 
La squadra è piccolissima e Marcenat fa quasi tutto da sola, coadiuvata da Frank Bartolomucci. Oggi la frutta viene raccolta tutta a mano, refrigerata durante la notte, diraspata e poi cernita per densità. Ogni parcella viene vinificata separatamente, la maggior parte fermenta nelle vasche di cemento utilizzate dagli anni '50, tuttavia il Cabernet Franc più vecchio viene fermentato in botti di rovere nuove da 600 litri. Usa solo lievito indigeno quindi le fermentazioni sono lente, almeno 10 giorni in genere. I tempi di macerazione sono lunghi, normalmente il vino trascorre sui 40 giorni, e fino a 50 giorni sulle bucce, a seconda delle annate, ma con un'estrazione molto delicata. La fermentazione malolattica può essere impegnativa con il basso pH, quindi deve regolarmente inoculare per forzarla (la malolattica è essenziale per la stabilità del vino, in particolare per il vino destinato a un lungo invecchiamento). 
La porzione di rovere nuovo è stata attenuata, con Marcenat che invecchia il vino per un anno in circa il 70% di rovere nuovo, con il resto in botti di secondo riempimento (e occasionalmente un po' di cemento se necessario). Viene poi assemblato e affinato in cemento per circa sei mesi prima dell'imbottigliamento senza filtrazione. Il rovere è costituito da botti borgognone da 228 litri (rispetto ai tradizionali 225 litri di Bordeaux), in gran parte Tronçaisoak del bottaio Taransaud. Marcenat ritiene che le botti borgognone si abbinino meglio al vino, apprezzando le doghe più spesse e la stagionatura più lunga (30 mesi contro i 24 della norma per Bordeaux). 
I vini Clos de Sarpe oggi 
Clos de Sarpe produce due vini: l'omonimo Grand Vin e un secondo vino, Charles de Sarpe, introdotto nel 1997, dal nome di Charles Beyney, figlio di Jean-Guy e cugino di Marcenat. Fino all'annata 2015 compresa, il secondo vino era un saignée del Grand Vin, utilizzato per aumentare la concentrazione del Grand Vin. Da allora, è stato prodotto solo in alcune annate quando c'erano abbastanza frutti per produrre un secondo vino, come il 2019 e il 2023. 
Mentre la maggior parte dei produttori parlerà della freschezza dei loro vini provenienti dal Cabernet Franc, per Marcenat è il Merlot a portare l'acidità, mentre il Cabernet Franc fornisce la struttura del vino. 
Degustando Clos de Sarpe negli anni '60, la freschezza del sito traspare costantemente, così come una distintiva mineralità terrosa. La purezza di un vino come il 1966 è straordinaria – e regge magnificamente anche oggi. Si possono ancora vedere le tracce dell'immensa struttura che i vini 1975 e 1988 devono aver avuto in gioventù, fornendo oggi una presa gentile insieme alla loro gustosa intensità. Mentre i vini avevano uno stile significativamente più potente alla fine degli anni '90 e negli anni 2000, quella potenza sembra equilibrata oggi, il rovere nuovo al 100% integrato e discreto - e il 2001 particolarmente straordinario. Le annate 2010 e 2015 di Charles de Sarpe sono vini meravigliosi, con una sensazione più morbida ed eleganza: un succo che sarebbe degno di molti Grands Vins. 
Questi vini un tempo erano conosciuti per la loro potenza e forza, ma Marcenat ha modificato lo stile, appoggiandosi alla naturale freschezza del sito. Cerca tannini setosi e una purezza che renda i vini più accessibili in gioventù. È, ti dirà, molto semplicemente il vino che le piace e che vuole fare. Degustare i vini en primeur da quando lei è subentrata suggerisce che qui ci aspettano solo cose buone. Ad ogni annata, l'impronta di Marcenat sui vini sembra più chiara e la qualità smentisce le condizioni della stagione di crescita, a testimonianza sia del suo talento che del terroir. 
Una nota sulle etichette del Clos de Sarpe 
Come puoi vedere nella line-up di questa degustazione (sotto), le etichette sono cambiate nel corso degli anni. I vini più antichi prodotti da Yvan Beyney portano un'etichetta molto tradizionale, che è cambiata nel 1986 per avere un bordo blu quando Jean-Guy (zio di Marcenat) è subentrato. Quando lo stile del vino cambiò negli anni '90, Jean-Guy cambiò nuovamente l'etichetta (dall'annata 1998) con una con bordo in lamina d'oro. L'etichetta attuale è stata introdotta nel 2012 quando la proprietà ha ottenuto lo status di Grand Cru Classé. 
La degustazione verticale: Clos de Sarpe 1966-2015 
2015 Charles de Sarpe: Maylis Marcenat ricorda vividamente la vendemmia 2015, poiché è avvenuta nello stesso periodo in cui ha dato alla luce le sue figlie gemelle. È stata l'ultima annata in cui il secondo vino è stato prodotto come saignée del Grand Vin, riecheggiando le sue proporzioni di 85% Merlot e 15% Cabernet Franc, ed effettivamente una versione meno potente, invecchiata in 50% rovere nuovo e 50% rovere di un anno. Il vino è ancora agile e vibrante, offrendo al naso frutti di bosco rossi brillanti. Al palato mostra toni più saporiti, con prugna rossa macerata e un sottile strato gessoso di tannini, tagliati da un'acidità brillante che conduce fino a un finale appetitoso. Questo è in un posto bellissimo adesso. 
Clos de Sarpe 2015: La tipica miscela di 85% Merlot e 15% Cabernet Franc (come ogni annata mostrata in questa verticale), il Clos de Sarpe 2015 è stato invecchiato in rovere nuovo al 100%. Come si può intuire dall'élevage e dalla potenza dell'annata, questo non è un vino timido e riservato, tuttavia l'acidità tipica di Clos de Sarpe si fa strada attraverso il suo nucleo e bilancia l'intensità del vino. Si sente ancora giovane, ricco di frutti di ciliegia scura sul naso compatto, che gradualmente offre toni più dolci e profumati con il tempo nel bicchiere. C'è solidità al palato - con una massa di frutta ricca e concentrata, ma c'è anche una succosità qui lo rende appetitoso, con una dolce carnosità. È rotondo e pieno, con una salda presa di tannino sul finale. Travasalo per godertelo adesso, con molta aria, ma questo si svilupperà nel prossimo decennio e oltre. 
2010 Charles de Sarpe: L'annata 2010 è stata la prima in cui i frutti sono stati tutti diraspati a Clos de Sarpe. Degustando il secondo vino con l'enologo Maylis Marcenat, non può fare a meno di chiedersi perché suo zio non abbia messo un succo così meraviglioso nel Grand Vin. Ora è un bell'esempio flessibile e maturo di Saint-Emilion: il naso sottile, che si sposta tra frutta dolce, fiori accentuati e complessità di tartufo nero. Il palato è lungo ed equilibrato, meravigliosamente risolto, senza soluzione di continuità e morbido, ancora con una freschezza appetitosa e un tocco minerale terroso nel lungo finale. Bello. 
Clos de Sarpe 2001: questo è stato un vino eccezionale nel nostro verticale e un vino che occupa un posto speciale per Marcenat. Come ci ha detto, "Per me è meglio del 2000 - con più freschezza, più equilibrio, più tutto". Il nuovo rovere al 100% è integrato, con il naso che mostra ora molta complessità terziaria: ferro, sousbois e una sottile fogliame si mescolano con il frutto della fragola ancora fresco e morbido. C'è trasparenza qui, ma ancora molta concentrazione: il palato è ancora agile con frutti rossi morbidi e succosi e un'acidità elevata e succosa che sostiene il frutto e riempie il lungo finale, completato da una nota terrosa. Superbo. 
1998 Clos de Sarpe: questa è stata una delle prime annate ad essere invecchiata in rovere, vedendo l'80% di legno nuovo per il suo élevage. È stata una grande annata per la Rive Droite, come dimostra questo vino. Il Clos de Sarpe del 1998 è meravigliosamente maturo, con aromi saporiti e coriacei e frutti di rovo più scuri rispetto al 2001 più fruttato rosso mostrato a fianco. Al palato ha una saporita cucitura di ferro, i tannini offrono ancora una soddisfacente presa gommosa per incorniciare il succoso frutto della siepe. Questo è sbocciato nel bicchiere, rivelando ulteriore complessità e vivacità. Lungo, equilibrato e molto impressionante. 
Clos de Sarpe 1988: L'annata 1988 ha offerto poche sfide ed è un'annata abbastanza classica. Viene dall'epoca in cui il Clos de Sarpe veniva fermentato tutto a grappolo intero e non vedeva rovere (invecchiato solo in cemento) - come con le due annate seguenti. All'inizio questo vino aveva un leggero sentore di muffa, ma gradualmente il vino ha rivelato il suo vero carattere, con frutta dolce e secca e note intense e salate - una ricchezza di umami che ricorda la marmite. C'è ancora una struttura e una potenza sorprendenti qui, anche se il vino non è così concentrato come, ad esempio, nel 1998. L'acidità mantiene il sapore fresco, con sentori di tartufo e sottobosco persistenti nel finale. 
Clos de Sarpe 1975: è stato tappato nuovamente nel 2020. L'annata 1975 ha prodotto alcuni vini particolarmente tannici - e qui si può ancora sentire la struttura dell'anno, con una presa fenolica che incornicia il palato. Il naso è intensamente sapido, attraente per gli amanti del Bordeaux vecchia scuola con cortile e pelle di cavallo, rivelando gradualmente un tocco erbaceo - qualcosa di quasi simile al mentolo. Sebbene questo sia decisamente terziario nel profilo, c'è ancora vivacità al palato, con morbide ondate di frutta e un finale dal bordo ferroso. 
Clos de Sarpe del 1966: alcune annate più vecchie di Clos de Sarpe hanno trascorso lunghi periodi di tempo in vasca prima dell'imbottigliamento, come nel caso di questa 1966, che è rimasta in cemento per quasi 10 anni. È stato tappato nel 2019 ed è un vino straordinario che sta cantando oggi. Il naso offre ancora una sorprendente purezza di frutta: morbida prugna cotta e frutti di rovo più profondi, così come saporiti sousbois e, con il tempo nel bicchiere, liquirizia e un'intensità quasi marmite. È maturo e vibrante, con una freschezza sorprendente al palato, i tannini sono perfettamente integrati con il frutto dolce. Lungo, morbido ed equilibrato, un bel vino da bere adesso. Esplora tutti gli annunci attuali di Clos de Sarpe o leggi di più su Bordeaux

Pochi conoscono Ch. Clos de Sarpe – e ancora meno ne hanno seguito l’evoluzione recente. Abbiamo incontrato Maylis Marcenat, quarta generazione alla guida della tenuta di 3,7 ettari, per una degustazione verticale e per esplorare l’identità del sito attraverso i secoli.

Exploring the evolution of this tiny Saint-Emilion estate through a six-decade vertical tasting of the wines with winemaker Maylis Marcenat 

Tasting through six decades of Ch. Clos de Sarpe 

Sessant'anni di Clos de Sarpe

Burgundy is a mecca for lovers of fine Chardonnay and Pinot Noir, but, with its litany of producers and vineyards, it can be a tricky region to get to grips with. Here we offer an essential guide to the region – breaking down everything from how vineyards are classified to producers to look out for

Discover everything you need to know about Burgundy: from vineyards and producers to the difference between négociant and domaine or what a Grand Cru is

Your essential guide to Burgundy wine

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In 1991, Jean-Luc Thunevin made the first vintage of Valandraud. In the workshop next to his house, he produced just 100 cases of wine from tiny yields, de-stemming and punching it down by hand and ageing it in 100% new French oak. Although it didn’t have a name yet, the garagiste movement had been born.  As the Super Tuscans had in Italy, these maverick bottlings, operating outside the official classification, rocked the world of wine – especially in the conservative heartland of Bordeaux. At the same time, the likes of Harlan and Colgin were starting to prove the power of Cabernet Sauvignon in Napa. Meanwhile on the East Coast, a lawyer called Robert Parker had already gathered a loyal following for his newsletter, offering independent advice and a novel scoring system. The internet was just getting started. Everything in the world of wine was changing.  “In the 1990s there was formidable energy and consumers who were ready to accept something new,” says Thunevin. But the Bordeaux wine trade was stuck in the Middle Ages, he says; it was aristocratic, closed – and one reason why the garagistes, a collection of outsiders, caused quite such a stir. Thunevin himself had been in banking, while Jonathan Maltus (Le Dôme) was a British businessman and Stephan von Neipperg (La Mondotte) a German interloper. With the challenging conditions of 1991, the first vintage of Valandraud had little impact. He made a tiny volume of red, and then a rosé de saignée that he gave away to friends. “L’histoire, c’est ’92,” Thunevin tells me, almost whimsically. The wine, a product of much more favourable growing conditions, put him on the map. “I created a revolution,” he says today. The 1991 Valandraud was released to négociants for 13€; the 2022 came out at 118€.  It was Michel Bettane who coined the term “vin de garage”, sneeringly suggesting that these new-fangled wines could be made in someone’s garage. But, as Jean-Luc Thunevin told me, “By talking about me, they made me exist.” Without such outrage from wine’s more traditional core, the garagistes likely wouldn’t have had the same success. Combine Bettane’s throwaway comment with the rise of garage music in the US and UK, and the movement gained an accidental cool-factor – but that’s all changed now.  “I don’t think anybody wants to admit they were a garagiste anymore,” Jonathan Maltus – the Englishman who created Le Dôme in 1996 – says. He looks back on the time with relative fondness, however. He’d arrived in Bordeaux in 1994, buying Ch. Teyssier, having sold his petrochemical business and decided after a stint in Cahors that he needed to be in the “Formula One” of wine, making for Bordeaux. It was an English wine merchant who told him how a single-vineyard Pomerol called Le Pin was causing a stir – one of a handful of “cuvée wines” that were becoming incredibly popular. As a canny businessman, he decided to give it a go himself.  “It was really exciting – and there was no budget,” Maltus says frankly, explaining how the movement rapidly became a game of one-upmanship. They would instantly snap up any new machinery or equipment, pushing their concepts further and further to out-do each other. Green-harvesting and picking only the ripest berries in multiple passes was de rigueur; the vines often stripped of their leaves to expose the fruit to the sunshine and maximise ripeness (something climate change has put paid to). Yields were consistently low, with over 30hl/ha considered too much to produce the requisite concentration. Maltus explains how the introduction of double-sorting and cold-soaking was radical – both expensive tools, with the latter requiring protective gas and the ability to chill tanks. He would put the wine into one set of new French oak barrels for malolactic fermentation, before transferring the wine to another batch of new oak for ageing. The resulting wines were bold, rich and lavish. “I like to think of it as a kind of Vivienne Westwood period,” Maltus says.  Ask any of the garagistes who inspired them and they’ll point to, among others, Le Pin. Although owner Jacques Thienpont firmly believes Le Pin is not – and never was – a garage wine; he feels that it is sometimes mistakenly seen as one because it was so successful at the time. Ironically, the wine was originally made in a garage, from just one hectare of vines. It was the sensuality of the wine that inspired Jean-Luc Thunevin, he tells me. He visited Le Pin several times and Thienpont told him that wine was all about the quality of the soil, rather than winemaking. “In the cellar, there are no secrets,” Thienpont says. Thienpont wasn’t Thunevin’s only advisor; Alain Vauthier of Ausone happened to be a school friend, and helped the amateur winemaker.  This tension between terroir and technique is at the heart of the garagiste movement. Jean-Luc Thunevin tells me how Valandraud was not a garage wine, but a “garden wine” – from 300 vines he planted on 0.6 hectares, a single site captured in 300 bottles. For Stephan von Neipperg, who made the first vintage of La Mondotte in 1996, from 4.5 hectares, “It’s a terroir… without an outstanding terroir, you cannot make an outstanding wine.” The garagistes, in his mind, by contrast were about “making the wine easier to understand – round, ripe, sometimes too ripe, extracted” – it’s a term he assigns to the likes of Ch. Gracia – first made in 1997, in a back-alley of Saint-Emilion.  Whether you are convinced these wines were true expressions of site or not, they were a direct contrast to the Médoc Classed Growths – where vast swathes of land were used to create a blend each year. Was it a reaction to the Left Bank’s dependence on blending, maybe even a complacency? Perhaps, but it was also a consequence of what each of them could afford; none of them, at first, had the cash to buy any more land. Thunevin’s methodology, for example, wasn’t idealistic; he had to do everything by hand because he didn’t have a tractor or any other equipment, splurging on new barrels alone, and turning a profit for the first time only in 1995.  It’s hard to untangle the movement from Parker’s influence – but few of the early renditions earned the big scores one expects and associates with these vins de garage. Le Dôme, for example, only earned 100 points in 2010 – long after Maltus had started reining in the style, La Mondotte in 2009. Although 1992 Valandraud kickstarted the movement, Parker only gave it 87-88 points when he first rated it in February 1994. Time blurs lines, inevitably – and, although it’s undeniable that Parker’s palate aligned with plush, polished styles, the truth around his influence is more complicated.   “We realised that the whole thing was just becoming a parody of itself,” Maltus says. He points to 2002 a real turning point, but it was only from 2008 that he stopped double oaking, reduced the proportion of new oak to 80%, and more recently started picking earlier. It’s the same across the spectrum, with many of these rebel estates now part of the formal classification system – absorbed into the establishment.  The instigator Jean-Luc Thunevin was branded Bordeaux’s “bad boy” for having challenged the status quo. It’s a reputation that he worked hard to keep – continually pushing forward (indeed, he even makes wine under the Bad Boy name today). Asking what prompted him to create Valandraud – and make it so differently, he says, “I have always been out of my mind. I always wanted to do things that were a bit shocking.”  Today, Bordeaux has more competitors than ever before, with a world of fine wine that is now truly global. Thunevin feels it’s a region in crisis – in need of another bad boy to take the baton. He was an outsider with nothing but a romantic dream of making wine. Whether you like what he did or not, he changed Bordeaux for good. “Les rêves sont nécessaires à notre équilibre,” he tells me – dreams are essential for our balance. The garage movement was just one chapter in Bordeaux’s lengthy history, but perhaps it’s time for another wave of disruptors – after all, they may just be the key to its long-term survival.  Browse all Bordeaux listings or read more about Bordeaux 

When it comes to wine, little has changed in Bordeaux for centuries – but in the 1990s a group of outsiders shook things up: the garagistes. Sophie Thorpe talks to three of the movement’s leading figures about its legacy – and what it means for Bordeaux today

Talking to Valandraud, Le Dome, La Mondotte and Le Pin about Bordeaux’s garagiste movement and what it means for Bordeaux today

The legacy of Bordeaux’s garagistes

Disrupt and disturb: the legacy of Bordeaux’s garagistes

While Bordeaux’s Left Bank was classified in 1855, the Right Bank didn’t establish an equivalent ranking until the 1950s. There are classifications for the Graves, Sauternes and Barsac, as well as the Médoc across the Gironde, but it is only Saint-Emilion that has been classified on the Right. How does Saint-Emilion’s classification work?  The classification was first established in 1955, dividing the appellation’s properties into three levels of quality based on a scoring system. The top wines are classified as Premier Grand Cru Classé A, followed by those that are Premier Grand Cru Classé B and then the Grand Cru Classé.  From the beginning, the idea was to try and create a more democratic system that rewarded estates’ efforts and avoided complacency. While the 1855 Classification was assigned to the château – essentially the brand, rather than the wine or specific vineyards (meaning properties could expand and shrink, yet their status wouldn’t change), the Saint-Emilion classification is judged both on terroir and the château’s performance. The classification is also reassessed every 10-15 years, with the most recent update in 2022. How are properties in Saint-Emilion classified?  As mentioned, the ranking of estates is based on a scoring system, out of 20.  For the Premiers Grands Crus Classés, the score is based on: a tasting of 15 vintages (representing 30% of the score); the property’s national and international reputation, its promotion and distribution (35%); the quality and consistency of the terroir (30%); and the property’s approach to viticulture, vinification and traceability (5%). To sit within this bracket, estates must earn 16 out of 20, with the best earning Premier Grand Cru Classé A status.  For the Grands Crus Classés, the score is based on: a tasting of 10 vintages (representing 50% of the score); the property’s national and international reputation, its promotion and distribution (20%); the quality and consistency of the terroir (20%); and the property’s approach to viticulture, vinification and traceability (10%). In essence, there is more focus on the tasting and the property’s practices, and less on terroir or its reputation and representation in the market. To achieve Grand Cru Classé status, a property must earn 14 out of the possible 20 points.  Because there is a detailed assessment of the soils, properties can have some but not all of their land classified. For example, Ch. Angélus had only 27 of its 39 hectares deemed worthy of Premier Grand Cru Classé A and Ch. Canon only has 24 of its 34 hectares classified as Premier Grand Cru Classé B. Why is Saint-Emilion’s classification controversial?  While the intention to try and create a classification system that was both dynamic and about the land was noble, it hasn’t quite worked out that way. There is much debate about the different factors that contribute to a property’s score, with the proportion tied to distribution and marketing a particular point of contention. With its constant evolution, this gives more room for controversy – with anyone demoted inevitably disgruntled. All in all, the result is a legal battleground, with accusations of undue influence and more.   The initial classification took three years to finalise, and it has since been re-drawn in 1969, 1986, 1996, 2006, 2012 and 2022. After the 2006 classification, five estates filed lawsuits against their demotion, while the 2012 only brought more cases to the courts.   Ahead of the 2022 classification, most of the Premier Grand Cru Classé A estates left the classification (Ch. Ausone, Ch. Angélus and Ch. Cheval Blanc), leaving just Ch. Pavie in the top rank of the classification, joined by Ch. Figeac in 2022. Read more about the classification’s recent controversies here. What about Saint-Emilion Grand Cru? Saint-Emilion Grand Cru is – confusingly – very different to Saint-Emilion Grand Cru Classé. This isn’t a classification but an appellation – one that has the exact same geographic area as Saint-Emilion AC.  Properties need to apply to be part of the classification but can otherwise make wine under the area’s two appellations – Saint-Emilion AC or Saint-Emilion Grand Cru AC.   “Grand Cru” status is not tied to the quality of the terroir but dictated by yields (a lower maximum of 40hl/ha), a higher minimum potential alcohol and longer minimum ageing requirements (only permitted to be bottled 16 months after harvest), and must be estate-bottled. The idea is that this leads to a higher-quality, richer wine. The current Saint-Emilion classification The latest iteration of the Saint-Emilion classification was announced in 2022, with just two properties sitting at Premier Grand Cru Classé A level and 12 at Premier Grand Cru Classé B, and 63 Grands Crus Classés. Find the full list of estates below. Premier Grand Cru Classé A Ch. Pavie   Ch. Figeac   Premier Grand Cru Classé B   Ch. Beau-Séjour Bécot  Ch. Beauséjour Duffau-Lagarrosse  Ch. Bélair-Monange  Ch. Canon  Ch. Canon-la-Gaffelière  Ch. Larcis Ducasse  Ch. Pavie Macquin  Ch. Troplong Mondot  Ch. TrotteVieille  Ch. Valandraud Clos Fourtet  La Mondotte  Grand Cru Classé Ch. l’Arrosée   Ch. Balestard la Tonnelle  Ch. Barde-Haut  Ch. Bellefont-Belcier  Ch. Bellevue  Ch. Berliquet  Ch. Cadet-Bon  Ch. Cap de Mourlin  Ch. le Chatelet  Ch. Chauvin  Ch. Clos de Sarpe  Ch. la Clotte  Ch. la Commanderie  Ch. Corbin  Ch. Côte de Baleau  Ch. la Couspaude  Ch. Dassault  Ch. Destieux  Ch. la Dominique  Ch. Faugères  Ch. Faurie de Souchard  Ch. de Ferrand  Ch. Fleur Cardinale  Ch. La Fleur Morange Mathilde  Ch. Fombrauge  Ch. Fonplégade  Ch. Fonroque  Ch. Franc Mayne  Ch. Grand Corbin  Ch. Grand Corbin-Despagne  Ch. Grand Mayne  Ch. les Grandes Murailles  Ch. Grand-Pontet  Ch. Guadet  Ch. Haut Sarpe  Clos des Jacobins  Couvent des Jacobins  Ch. Jean Faure  Ch. Laniote  Ch. Larmande  Ch. Laroque  Ch. Laroze Clos la Madeleine   Ch. la Marzelle  Ch. Monbousquet  Ch. Moulin du Cadet  Clos de l’Oratoire  Ch. Pavie Decesse  Ch. Peby Faugères  Ch. Petit Faurie de Soutard  Ch. de Pressac  Ch. le Prieuré  Ch. Quinault l’Enclos  Ch. Ripeau  Ch. Rochebelle  Ch. Saint-Georges-Cote-Pavie  Clos Saint-Martin  Ch. Sansonnet  Ch. la Serre  Ch. Soutard  Ch. Tertre Daugay  Ch. la Tour Figeac  Ch. Villemaurine  Ch. Yon-Figeac   Read more about Bordeaux or browse all Bordeaux listings 

Bordeaux’s Right Bank wasn’t classified in 1855, but Saint-Emilion introduced its equivalent system in 1955, ranking the appellation’s best properties. Here’s everything you need to know about the Saint-Emilion classification, how properties are ranked – and why it’s so controversial

Everything you need to know about the Saint-Emilion classification – the official ranking of this Right Bank appellation’s top wine estates

Your guide to the Saint-Emilion classification

Mosel and the Kingdom of Prussia At the Congress of Vienna in 1815 the Mosel region was assigned to the Kingdom of Prussia. Following this, the region went through a period of great change. Initially, the elimination of the domestic German customs borders brought high competitive pressure on Mosel from other big wine-growing areas (e.g. Pfalz, Baden, Württemberg) and prices decreased dramatically. In addition to this, bad weather conditions and the outbreak of new pests in the region, saw regular crop failures, leading to economic hardship for many winegrowers in the region.  Despite the initial deterioration of the region, the Prussian government saw Mosel as a wine region worth saving, deciding to invest heavily into the wine industry. During the 1850s the construction of the railway line along the river was completed providing faster and easier access to the German Reich´s main traffic routes and therefore hugely improving the logistics of moving wine around the country and beyond.  Additionally, government domaines were built for research purposes, further developing modern technologies that were being applied in the vineyard and wineries. The focus was set on the wine quality: winemakers should grow the Riesling grape variety, they should harvest late and be highly selective when picking the grapes to produce better quality, and the wines should be "natural“ (without any additives, without being chaptalized, etc.). In the 1880s several vintages were of outstanding quality, and the interest in Mosel Riesling grew around Europe.  By the 1890s Mosel was enjoying a golden era in which its reputation for fine wine production saw a boom in sales throughout the 1890s. Furthermore, the consumer´s understanding of taste changed from heavy red wines to light, refreshing whites, rich in aroma and acidity.  The boom led to tourism, many people from all over Europe came to the valley, including famous artists such as William Turner and poets such as Johann Wolfgang von Goethe. Mosel Riesling was drunk by nearly all secular and ecclesiastical rulers of Europe – Berlin, St. Petersburg, London, etc. Kaiser Wilhelm II also visited the area several times. The wines were on the lists of all top restaurants around the world. Mosel was the world’s fine wine mecca.  
The wine styles of Mosel’s golden era 
By the beginning of 20th century, nearly all of the wines coming from the Mosel area were dry or maximum off-dry because there was no technical possibility to interrupt fermentation unnaturally. All of the Rieslings were fermented by natural yeasts only. They were kept in large "Fuder“-barrels – kept on their lees (sur lie – the dead yeast cells) for several months, sometimes even for more than a year, adding textural, aromatic and flavour complexity. The style of our dry and off-dry wines could be compared to the wines from 100 years ago. All of our wines ferment naturally, in the spirit of authenticity, vineyard character, complexity and longevity. No fining agents, enzymes or other additives are ever used. Most of the wines remain on their yeasts ("sur lie“) for months, gaining in mellowness and body.   During that time, winemakers did not have the technical possibility to stop fermentation earlier with a higher proportion of residual sugar. The machine needed for this procedure, containing a special filter which stabilises the wines by pulling yeasts and other solids out, only came into commercial use in the 1960s. An invention that would turn the style of the region’s wines on its head and damage its reputation as one of the world's leading fine wine regions.  In 1868 the Prussian tax authorities published the first official wine terroir classification in the world. This classification was used to set tax rates – the higher the quality of the single vineyard was rated, the higher the tax rates for the winegrowers (the darker red coloured the plots on the map – see map).  In addition, this map was an unprecedented tool for promoting wine by the Prussian government and proved a fantastically successful approach in identifying the nuances of each vineyard and was to be imitated by several other wine regions in Germany and beyond.  

Despite being 150 years ago, we think that this classification was very accurate in terms of identifying quality. The completely south-facing steep slopes are still the best to grow vines in our valley. Due to enlargements during 20th century some important vineyard sites are missing, in terms of our winery, it would be Wehlener Klosterberg vineyard which has proven to belong to the red or even dark red coloured surfaces on the map.  Due to climate change, we think that several vineyard sites which are located in side valleys or on a higher altitude have actually improved over the last decades. Nowadays they would also belong to the higher or highest-rated plots. But overall their assessment was petty accurate. The World War years
 The World Wars were obviously going to have a devastating effect on the region situated on the border of France and Luxembourg and this brought an end to the golden era. Whilst Riesling was the most planted and popular variety, Pinot Noir was also grown very successfully in the region until it was banned by the Nazis in 1933. The Nazis forbade the growing of French varieties and asked vignerons to focus on the prestigious "German“ Riesling in the Mosel wine-growing area which used to be the showpiece for them, being famous all over the world. The ban quite shockingly lasted until the end of the 1980s, therefore the tradition of red winemaking was nearly completely lost in the region. I was one of the “pioneers“ in the area to cultivate Pinot Noir again by planting the first vines in 1987 on the south-facing steep slope called Graacher Himmelreich. 
Mosel: the post-war period 
After WW II there was a huge request for fruity and light white wines and with the economic hardship that followed, a refocus towards quantity rather than quality. The Mosel Rieslings were swept up in this, predestined to produce high quantity, light, sweet wines. Winemakers
all along the river enlarged their vineyard surface, not only in the steep slopes but above all in the flat lands on the other side of the river.  Growing there was much easier and less time and work intense, and therefore also a lot cheaper. Mosel wines became famous as “sweet and cheap“ all over the world – markets were flooded. This concept based on quantity led to an enormous enlargement of vineyard area in the Mosel region from 7500 hectares to 12,300 hectares in the early 1990s. The glycol scandal (when antifreeze was discovered in bulk Austrian wine shipped to large German wineries in bulk and bottled under the German winery labels) only further enhanced the bad reputation of wines from our area.  
Mosel today: a 21st-century golden era Whilst nearly everything has changed over the last two decades the whole wine-growing area still suffers from the “Black Towers“ and “Blue Nuns“ sweet and cheap German wines that despite a drop in popularity still are made in vast quantities and exported all over the world. It is our aim to help restore the wines of our valley to their former glory, therefore we focus uncompromisingly on quality in every step of our daily work.  Luckily the understanding has changed – nearly all winemakers especially the young generation rely on the traditional ways of quality winemaking again and combine it with modern technology, new insights of research, as well as their passion for the famous steep slopes of our region. Wine lovers all over the world are recognising these changes as positive and we think we are back on the right track to regain the popularity and reputation garnered to the region during the golden era of the 1880s and 1890s. Explore more Editorial 

Markus Molitor shares the fascinating history of Mosel outlining the reasons behind the region's meteoric rise to glory at the end of the nineteenth century, its demise during the two World Wars and then its economic devastation in the 1980s.

Markus Molitor outlines the history of Mosel wines and winemaking from 1815 to 2020 – and the reasons behind the wine region's meteoric rise to glory

The history of Mosel wines and vineyards

The history of Mosel wines 1815-2020

Domaine Yvon Clerget

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