Burgundy expert Jasper Morris MW has had his finger on the region’s wine pulse for several decades. Especially for FONDATA, he profiles eight domaines to watch, producers that are bringing vital energy and fresh winemaking talent to the celebrated wine region 

Jasper Morris MW on eight of Burgundy’s most exciting domaines – including Eleni & Edouard Vocoret, Chantereves, Alvina Pernot and more 

The new Burgundians – Jasper Morris MW 

The new Burgundians

Alcuni dei primi ricordi di Nicolas Champagneux riguardano la vita tra le vigne – il trambusto della vendemmia con i suoi nonni. Non è la fatica che ricorda, ma “des bons moments de famille”, mi racconta – lo spirito conviviale che pervadeva l’aria. È cresciuto nel cuore della Côte-Rôtie, trascorrendo fine settimana e vacanze nel vigneto di famiglia – un’ampia porzione di Les Grandes Places, un sito rinomato nel comune di Verenay, dove il suo bisnonno piantò le viti all’inizio del XX secolo. 
 Les Grandes Places è un sito straordinario – il produttore più famoso è probabilmente Jean-Michel Gérin. Nella parte nord della Côte Brune, in un anfiteatro esposto a sud-ovest, questo pendio scosceso ha suoli friabili di mica scistosa che permettono alle radici delle viti di penetrare profondamente nella roccia madre. È casa di alcune viti molto vecchie – come quelle centenarie coltivate da Champagneux – e produce vini di grande eleganza ma con una potenza scura e carnosa. Champagneux possiede quasi due ettari qui, detenendo le maggiori superfici. 
 Lo zio di Nicolas, André, prese in gestione il vigneto dopo i nonni, mentre suo padre Gérard andò a lavorare in fabbrica. All’epoca non c’erano abbastanza risorse per permettere a entrambi i fratelli di unirsi all’attività di famiglia, e la Côte-Rôtie non era così ricercata come oggi. A parte un paio di barrique per consumo personale, la famiglia non vinificava, coltivando il sito e vendendo quasi tutta l’uva a Guigal, uno dei nomi più famosi del Rodano settentrionale. 
 Infatti, oltre al vigneto di famiglia, Nicolas trascorse molto tempo da Guigal – dopo che suo padre Gérard lasciò la fabbrica per dirigere il loro team di viticoltura. Dai 16 anni, Nicolas lavorava lì durante le vacanze per guadagnare un po’ di soldi. Quando compì 18 anni, dovette trovarsi un lavoro: era deciso a non lavorare in ufficio e amava stare all’aria aperta, così finì per diventare elettricista ad alta tensione – lavorando con correnti di 20.000 volt. “Non eri mai nello stesso posto, ogni giorno era diverso, ogni compito era diverso – quindi non c’era monotonia”, racconta. Spesso finiva presto la giornata e – contadino nato e cresciuto, poco incline al concetto di riposo – andava ad aiutare nel vigneto di famiglia. Quando suo zio morì, non c’era nessun altro che potesse prendere in mano il domaine – così decise di farlo lui, determinato a preservare l’eredità familiare. Scelse di tenere l’uva e iniziare a produrre vino con il nome di famiglia, desideroso di vedere gli sforzi dell’anno racchiusi in bottiglia. Sapeva come lavorare le vigne ma non aveva mai sognato di diventare vignaiolo – tuttavia, senza lasciarsi scoraggiare dalla sfida, imparò sul campo. Era il 2014, e i suoi vini si sono rapidamente guadagnati una reputazione nella regione. La cantina di famiglia aveva l’essenziale, ma le prime annate furono realizzate con il minimo indispensabile – con una nuova cantina costruita nel 2016 (Yves Cuilleron ha fornito consulenza al progetto). 
 Quasi un decennio dopo aver lasciato il mondo di tralicci, trasformatori e conduttori, la vita può seguire un ciclo annuale, ma resta tutt’altro che monotona. Nicolas lavora da solo e apprezza l’indipendenza che ciò comporta – gestendo il proprio tempo ed essendo il proprio capo. “C’è ancora molto da fare e ogni anno è diverso”, mi dice. Sperando che un giorno suo figlio si unisca a lui – nato nel 2009, suo zio mise da parte una riserva di vino di quell’annata, parte della quale verrà rilasciata per il suo 20º compleanno nel 2029. 
 Il cambiamento climatico è in cima ai suoi pensieri, con vendemmie ora a inizio settembre e persino agosto, rispetto a ottobre ai tempi dello zio. Se prima faticavano a raggiungere il 13% di alcol potenziale, oggi i suoi vini si attestano spesso al 14-14,5%. Ora lavora con inerbimento, defoglia meno e utilizza una piccola parte di grappolo intero negli anni più caldi per preservare la freschezza dei vini. Per il resto, poco è cambiato nel decennio da quando ha iniziato – continua a lavorare nel modo più semplice possibile, cercando di tradurre in vino le vigne tra cui è cresciuto. Ed è esattamente ciò che fa: i vini sono eleganti espressioni di Les Grandes Places, profumati e setosi, con un fine grip tannico e una salinità sapida sottostante, invecchiando magnificamente – come ha mostrato una mini verticale delle annate 2015, 2016 e 2017. I vini di Nicolas Champagneux 
 Dalle sue quattro ettari di vigne, Nicolas Champagneux produce tre vini: un IGP Vin de Pays des Collines Rhodaniennes La Rémise e due Côte-Rôtie, Les Grandes Places e La Dédicace, tutti realizzati al 100% con Syrah. 
 La Dédicace proviene dalle viti più giovani di Les Grandes Places, con una “modesta” età media di 40-60 anni. Circa 6.000-7.000 bottiglie vengono prodotte di questo “baby” Grandes Places. 
 Les Grandes Places proviene invece dalle viti più antiche, con una media di poco superiore ai 100 anni, alcune piantate nel 1910. Solo circa 1.500 bottiglie vengono prodotte di questo vino ogni annata. 
 Entrambi i Côte-Rôtie sono vinificati esattamente nello stesso modo, per lo più diraspati con una piccola parte di grappolo intero aggiunta nelle annate più calde e fermentati con lieviti indigeni, raggiungendo un massimo di 28-30°C e restando sulle bucce per circa tre settimane. Il vino trascorre poi 20-24 mesi in vecchie botti prima dell’imbottigliamento. Nicolas Champagneux Côte-Rôtie Les Grandes Places: una degustazione verticale 
 2022 Côte-Rôtie Les Grandes Places: Pieno di intensità speziata – chiodi di garofano e cardamomo insieme a un tocco di pepe di Szechuan. Il palato offre una succosità lussureggiante, stratificata con frutta scura concentrata di ciliegia e un accenno di tapenade nera, con tannini avvolgenti e il tutto rinfrescato da una linea di vivace acidità. Un neonato ora, da avvicinare dal 2030. 
 2021 Côte-Rôtie Les Grandes Places: Un 2021 davvero notevole, equilibrato e potente, il Les Grandes Places di Champagneux ha bisogno di aria ma rivela gradualmente spezie di pepe e delicati fiori di violetta. C’è però potenza e corpo al palato – più di quanto ci si aspetterebbe dal naso elegante, con una fermezza sapida, tannini flessibili ma strutturati e acidità succosa. È scuro e meditativo, gotico nei suoi toni floreali struggenti, con un lungo finale salino e appetitoso. Da approcciare dal 2027. 
 2017 Côte-Rôtie Les Grandes Places: Il 2017 Les Grandes Places combina delicati aromi floreali con una nota ferrosa e sanguigna al naso, che introduce un palato stratificato di frutti di rovo. I tannini sono rotondi, morbidi e setosi, con un’acidità vivace che attraversa la frutta concentrata, mentre il lungo finale è profumato di pepe bianco e violette. 
 2016 Côte-Rôtie Les Grandes Places: Questo 2016 è in uno stato splendido. Incenso intenso si fonde con frutta dolce di ciliegia e un tocco di fumo al naso, conducendo a un palato in cui ci si immerge – il vino è morbido e flessuoso, con onde di frutta dolce, ma il tutto tagliato da un bordo salino e sapido. Fresco e perfettamente equilibrato, da decantare e godere ora e per il prossimo decennio. 
 2015 Côte-Rôtie Les Grandes Places: Il più austero della trilogia 2015, 2016 e 2017, questa è un’annata potente e impressionante di Les Grandes Places – con tutte le migliori caratteristiche dell’anno. Il vino è scuro e profondo, compatto e ancora sorprendentemente primario, con profumi di ciliegia nera e mora. Al palato mostra però una purezza e un’intensità straordinarie, con una qualità cristallina della frutta, abbondante acidità a bilanciare la concentrazione e tannini fermi. Note affumicate e saline persistono in bocca, con un accenno di petali floreali nel finale. Da decantare se aperto ora, ma sarà ancora migliore se saprete aspettare qualche anno. 
 Esplora tutte le attuali etichette di Nicolas Champagneux, incluse varie annate precedenti, o leggi di più sul Rodano.

Sono passati quasi dieci anni da quando Nicolas Champagneux ha preso in mano le vigne di famiglia e ha iniziato a produrre vino con il suo nome, diventando la prima generazione a farlo. Abbiamo incontrato il vignaiolo per scoprire di più sulla sua storia e sul percorso intrapreso finora.

How the talented young vigneron in Cote-Rotie has taken his family’s legacy and created a new domaine that is one of the Rhone’s most exciting 

Nicolas Champagneux – building on his birthright 

Nicolas Champagneux: costruire sul suo diritto di nascita

Châteauneuf-du-Pape has a long history, becoming the new home for the Pope in the 14th century, but its prestige as a wine region is comparatively short. Although it is France’s oldest appellation (the first to be officially classified in 1923), the wines only really gained notoriety in the second half of the 20th century. More recently, its full-bodied, fruity style found appeal among American critics – namely Robert Parker, who helped increase its following across the Atlantic. But, despite the success of estates such as Ch. Rayas, there is little fanfare around the region. Isabel Ferrando’s dynamism, therefore, is a refreshing change. Her story is one of revolution rather than evolution. With every step in her career, she has made bold decisions – decisions that have brought significant attention, praise and a legion of fans. For her, such an approach aligns neatly with the philosophy of Châteauneuf-du-Pape. “The only limit is to respect the appellation. That is the only limit,” says Ferrando. With 13 permitted varieties (or 22 if you count both white and red grapes) and five very different, distinct soils, countless expressions of the appellation are possible – and, for her, this is why it’s a very modern appellation. Everyone is given the freedom to “paint their picture”. Although the region might be famous for its galets roulés (large round pebbles that reflect heat and add to ripeness), this is just one of its terroirs. “There are five different soils in Châteauneuf – chalk, limestone, clay, sand, galet stones that each have a strong influence on the appellation,” she explains. “There is one singularity,” she admits, “and that is a lot of fruit.” She feels that Châteauneuf is united by its “fruity but serious” profile – however, beyond that, there is incredible variety – from more floral to darker, more savoury styles. “The vines on clay produce a fatness in the wine. The sandy soils bring a silky texture and tenderness to the tannins. The chalk gives a sensation of powder,” she says, highlighting how each soil type contributes to the final wine – providing a palette for any winemaker to produce a wine that fits their sensibility. This freedom made the region a perfect fit for Ferrando – who decided to give up her job in banking to become a winemaker 20 years ago. Then a new mother, she initially thought that being her own boss would allow her to spend more time with her family. That didn’t actually happen, she admits, “But when you become a mother or father, you become someone else – you look at life differently. I wanted to go back to nature,” she says. “I didn’t want to raise my daughter in a city. I was born in the countryside, and I needed that for my daughter.” After training for a year in Gigondas under Dominique Ay (at Domaine Raspail-Ay) she found a domaine for sale in Châteauneuf-du-Pape and jumped at the opportunity. She might have been new to the region, a woman in a male-dominated industry with no background in winemaking, but that wasn’t going to put her off. Fortunately, she made some good friends – most notably the late legendary Châteauneuf-du-Pape producer Henri Bonneau who was instrumental in the establishment of Domaine Saint-Préfert. When she arrived, the vineyards were not in good shape, with many vines diseased and in need of replanting. Traditionally, producers in Châteauneuf-du-Pape blend plots together to capture the complexities of the different soils and varieties etc. But, if she was to make a wine of quality, this was not possible for Ferrando. So she identified the best plots and bottled those separately (as her Réserve Auguste Favier and Collection Charles Giraud cuvées), while she set about replanting the rest of the vineyards. The young fruit from her new vines was dedicated to her Cuvée Classique Châteauneuf-du-Pape. Single-vineyard bottlings were quite a radical move in the appellation – but such was the quality of these low-production, old-vine bottlings that Ferrando’s wines rapidly earned recognition. She went further to challenge convention in the region, crafting three varietal wines in a region that was built on blends. These cuvées – a Clairette (Cuvée Spéciale Vieilles Clairettes), Cinsault (Cuvée F601) and Grenache (Cuvée Colombis) bottling – are remarkable wines. There is no other 100% Cinsault produced in Châteauneuf-du-Pape.“The Cinsault is absolutely perfect in Saint-Préfert,”, says Ferrando. “Nowhere else in Châteauneuf-du-Pape do you get these floral aromas.” She describes the grape as the Pinot Noir of the Rhône. Production is tiny – limited to just 800 bottles a year – and it is not cheap at £500 a bottle. But, for those lucky enough to taste it, it is beguiling. The Wine Advocate’s Joe Czerwinski rated it as his top discovery of 2020. Her 100% Clairette is another oddity for Châteauneuf-du-Pape and almost as rare. Only bottled in magnums (800 a year) – this is a wine that Ferrando believes can age 50 years or more. “Clairette is my vision of white wine in the Southern Rhône.” She wants to counter the claim that white Châteauneuf-du-Pape is fat and fruity. “With Clairette, you can produce very fresh and deep wines,” she says, “it gives a lot of freshness, tension and salinity to the whites.” The wine was inspired by her mentor Henri Bonneau, who convinced Ferrando to bottle these 80-year-old vines separately. In the early days of Saint-Préfert, Ferrando invited Bonneau to a feast of tête de veau – and Bonneau arrived with a magnum of an unlabelled white wine. During the meal, Bonneau started to cry – he told Ferrando that the wine was the last bottle from the cellar made by his father – a 1947 100% Clairette – showing how well good Clairette could age. “It was a very special moment,” notes Ferrando. The wine was incredibly fresh and in perfect condition. He asked Ferrando again to create another 100% Clairette – like his father’s. The first vintage was 2009. Once the wine was picked and fermented Bonneau would come to the winery, taste the wine and insist she not bottle the wine yet. It was not ready. “It was risky,” says Ferrando, “but he insisted.” After 18 months she could hold off no longer and bottled it. Tasting the wine, she was amazed by its tension. It was special. The first magnum of every vintage was given to Bonneau as a thank you. After 20 years in Châteauneuf-du-Pape, Ferrando is one of the appellation’s brightest stars. But she hasn’t stopped challenging the status quo. After building one of the most celebrated brands in the appellation, Ferrando overhauled her range in 2020 – discontinuing many wines and changing the estate’s name to Famille Isabel Ferrando. Few people would have the guts to take such a chance, but a meditative period over Covid-19, the death of her husband and the evolution of her vineyards all prompted her next radical change. “The resistance of people to change is apparent, it is comfortable to stay the same,” she admits. But, for Ferrando, she had to change. Over 20 years, she’d nurtured her vineyards back to health, her young vines had reached maturity and her biodynamic farming had brought biodiversity back into her vineyards. “The vineyards changed and so the wines had to change too,” she explains. Ferrando now had the quality of fruit to be able to produce a single, flagship Châteauneuf-du-Pape cuvée – a wine that represented her terroir and her winemaking style. While she still produces her Vieilles Clairettes, F601 Cinsault and Colombis cuvées, she has sacrificed her top-scoring Auguste Favier and Charles Giraud reds to produce what she feels is a true representation of her estate and sensibility. The wine captures her obsession with freshness, balanced with concentration – playing with the different textural qualities of her soils and varieties. With this refreshed focus from the 2020 vintage, Ferrando decided to bottle the wines under Famille Isabel Ferrando – trusting that her customers will follow the wines under this new name. Ferrando’s daughter seems to have inherited her mother’s revolutionary approach. At 22, she decided to abandon her business studies to tackle a degree in viticulture in Beaune – to the complete shock of her mother. While currently her daughter is learning about winemaking at some of the best estates around the world (including at the likes of Domaine Roulot, Eisele Vineyard, Mullineux and more), she has already had an influence at Saint-Préfert. It was under her guidance that Ferrando hired a young agronomist engineer who has been planting trees and cereal crops in the vineyards to improve biodiversity. Ferrando is clearly excited– still spurred on by change, despite her success. Tasting the new wines from Famille Isabel Ferrando is a wonderful experience. We were among the first to taste the 2021 vintage. The white Châteauneuf-du-Pape is divine – offering such beautiful freshness, salinity and depth, with a finesse that I can’t remember tasting from the region. And the reds, even at such a young age, already taste so balanced, pure and refined. Ferrando might be a radical and modern vigneron, but her wines are timeless. Browse all Famille Isabel Ferrando listings or read more Editorial

Isabel Ferrando is one of the stars of Châteauneuf-du-Pape. As she once more tears up the rulebook to relaunch her wines under Famille Isabel Ferrando, we discuss her journey so far, and why she believes Châteauneuf-du-Pape is one of the most exciting wine regions in the world today.

Over 20 years, Isabel Ferrando has been challenging convention in Chateauneuf-du-Pape – she explains why it’s so essential to never stop evolving

Talking to Chateauneuf-du-Pape’s Isabel Ferrando

The challenge to change: Isabel Ferrando

Burgundy is a mecca for lovers of fine Chardonnay and Pinot Noir, but, with its litany of producers and vineyards, it can be a tricky region to get to grips with. Here we offer an essential guide to the region – breaking down everything from how vineyards are classified to producers to look out for

Discover everything you need to know about Burgundy: from vineyards and producers to the difference between négociant and domaine or what a Grand Cru is

Your essential guide to Burgundy wine

Your essential guide to Burgundy

Think of a cocktail. Is vermouth in it? If you’re thinking of a classic cocktail, there’s every chance it is. The Martini, Negroni, Manhattan – I could go on. And on. For whatever reason, vermouth has not always received the recognition it deserves for propping up so many exquisite mixed drinks. In fact, I’d hazard that a fair amount of cocktail lovers don’t know vermouth is in their glass at all, or, if they do, their knowledge of the liquid might be a little patchy. When it comes to vermouth, there are a few things you need to know. Vermouth is an aromatised wine which hails from Torino, Italy. It is generally accepted that vermouth – as we know it, not the kind prescribed by Hippocrates in 400BC for ailments – was invented in the 16th century. In 2019, a Geographical Indication was introduced to protect the style and quality of vermouth from its birthplace, Turin. Under these regulations, vermouth must be made with at least one Italian wine, wormwood must be the predominant flavour and the wormwood used must be grown in Piedmont. The final liquid must also be between 16% and 22% alcohol in order for it to be labelled “Vermouth di Torino”. The two most common styles of vermouth are sweet and dry. The former is red in colour and as such is often called Rosso. This is the style used in your Manhattan and Negroni. Dry vermouth is white (Bianco) in colour and will be used in your classic Martini. Four classic Vermouth-based cocktails The Negroni It might be hard to believe given the Negroni’s current notoriety, but this simple serve of equal parts vermouth, Campari and gin was incredibly slow to catch on. As is often true in cocktail lore, there are a couple of people credited with its invention. The most widely accepted is a Count named Camillo Negroni who asked a bartender at Caffè Casoni in Florence to make his Americano cocktail a touch stronger. They duly obliged and switched the soda water for gin. This is believed to have taken place in 1919. A smaller camp credits a man named General Pascal Oliver Comte de Negroni with the invention of the cocktail in Senegal between 1855 and 1865. Setting aside the inventor for the moment, the Negroni, unrefutably, became de rigueur in the early 20th century – requested across Europe and favoured for its bitterness and alcoholic strength. Orson Welles was a very high-profile fan, famously quoted in 1947 for saying: “The bitters are excellent for your liver, the gin is bad for you. They balance each other.” In the years that followed, the Negroni’s popularity waned when appetites became more saccharine in nature. In the early 2000s, things shifted again as the Negroni began to appear on cocktail menus at some of the best bars in the world. It wasn’t long before the recipe featured in cocktail books and drinks sections of influential titles, such as The New York Times. Fast forward to today and the Negroni is regularly named the most popular cocktail by patrons and bartenders alike. There are countless riffs on the original recipe and an entire week is dedicated to celebrating it. How to make a Negroni 30ml sweet vermouth 30ml Campari 30ml gin Ice Slice of orange (garnish) Pour all ingredients into a glass with ice and stir well. Add garnish. The Manhattan The Manhattan has assumed many guises over the years, making its exact origin a hotly contested subject. Some believe Sir Winston Churchill’s mother was served the first Manhattan cocktail at the eponymous club in New York in the early 1880s. Others question the validity of this claim as she was likely in the UK, pregnant with the future Prime Minister, around this time. Some believe a New York bartender by the name of Black invented the recipe at the Hoffman House. The earliest known record of the Manhattan, in which this name and the recognised recipe, appear is in The Sunday Morning Herald in September 1882. Unhelpfully, some referred to a very similar recipe as a Jockey Club or Turf Club Cocktail. The classic recipe consists of Rye or Bourbon, sweet vermouth and bitters. During Prohibition, it was not uncommon for people to use a different whiskey as the base ingredient. If you substitute American whiskey for Scotch whisky, you have a Rob Roy cocktail. How to make a Manhattan 50ml Bourbon 25ml vermouth 3 dashes of orange bitters Cocktail cherry (garnish) Add all ingredients into a glass filled with ice and stir. Strain into coupe or Martini glass and garnish. The Americano The Americano recipe was invented at Gaspare Campari's bar in Milan in the 1860s. The cocktail of equal parts Campari, vermouth and soda water, was originally named “Milano-Torino” after the principle ingredients’ home towns of Milan and Torino respectively. The simple serve was renamed in honour of its growing fanbase: American tourists. The Negroni recipe was based on the Americano and contains two of the three main ingredients – with the soda water switched for gin. While many associate James Bond with the Vesper cocktail or a Martini – shaken, not stirred – the first cocktail associated with 007 in Ian Fleming’s work was actually an Americano in Casino Royale. It is later written, in A View To Kill, “Bond always had the same thing – an Americano”. How to make an Americano 30ml sweet vermouth 30ml Campari Soda water Slice of orange (garnish) Fill glass with ice, add Campari and sweet vermouth. Top with soda water and stir gently. Garnish. The Adonis A slightly less well-known vermouth-based cocktail, the Adonis was invented in honour of its Broadway musical namesake. The musical, based on William Gill’s novel, first opened in Chicago in 1884 and went on to become the longest-running show of its era. As the name suggests, the story follows a beautiful male statue who comes to life and ultimately opts to return to stone. The first reference to the Adonis cocktail was written in 1887. How to make an Adonis 60ml Oloroso Sherry 30ml sweet vermouth 2 dashes of orange bitters Stir all ingredients with ice. Strain into chilled glass. Browse all spirits or read more Editorial 

No drinks trolley is complete without a bottle of vermouth. It’s required in countless classic cocktails and is a remarkable drink in its own right. We chart vermouth’s rise to prominence and explore the history of four of the most famous vermouth-based cocktails.

Alll about vermouth’s rise to prominence and explores the history of 4 of the most famous vermouth-based cocktails - The Negroni, The Manhattan, The Americano

How four vermouth-based cocktails became classics

The history of vermouth in cocktails: shaken not stirred 

Camille Thiriet

Burgundy

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Questo articolo si trova presso FINE+RARE HOME Hong Kong, ed è disponibile per la consegna o il ritiro in sede. La maggior parte delle consegne a Hong Kong può essere effettuata entro 3 giorni lavorativi; la data esatta sarà comunicata al momento dell'organizzazione della consegna. Le consegne internazionali richiedono tempi più lunghi, ti preghiamo di contattarci per maggiori dettagli.

I vini venduti en primeur saranno rilasciati dal produttore dopo limbottigliamento, tipicamente 18 mesi dopo la fine della cosiddetta campagna. Il tuo vino sarà poi conservato da FINE+RARE in un deposito doganale fino a quando deciderai di richiederne la consegna.

Reperiremo questo articolo attraverso la nostra rete di fornitori e ne organizzeremo la spedizione a FINE+RARE.
 I tempi di consegna dipendono da molte variabili, ma una stima media è di 6-12 settimane.
 Una volta confermato lordine, ti terremo aggiornato sulla data di arrivo prevista.
 Ogni articolo viene controllato al momento della ricezione dal nostro team di esperti, con fotografie disponibili su richiesta (si prega di notare che potrebbero essere applicati dei costi).

Camille Thiriet

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